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Gianfranco de Turris, lettera a Dario Franceschini

Illustre Signor Ministro Franceschini, mi pare che Lei sia stato il primo ministro della storia della repubblica a inaugurare il proprio mandato con un gesto grandemente simbolico che è servito a sottolineare quale sarà la strada politico-culturale che intende percorrere e con quale stigma caratterizzarla.









Subito dopo il suo giuramento al Quirinale si è precipitato al Museo della Liberazione di Via Tasso. Poscia, per render noto al volgo il suo gesto senza attendere la carta stampata del giorno dopo, ha cinguettato su Twitter: «La mia prima visita di ministro al museo di via Tasso nelle stanze dove oltre duemila persone furono interrogate e torturate dai nazisti».
Ora, Illustre Ministro, nella Capitale di altre istituzioni che navigano fra «mille difficoltà» ce ne sono a iosa, dal Teatro Valle al Teatro dell'Opera, per citare i casi più clamorosi, ma la decisione di andare al Museo della Liberazione, cosa mai fatta da altri in precedenza (i comunisti/postcomunisti Veltroni, Melandri, Bray) è sintomatica e pone vari interrogativi sulla posizione e gli scopi di un ministero «culturale» come il suo. È verissimo: come dicono le sue biografie e i giornali ripetono, Ella è «figlio di un partigiano» proprio come illo tempore si diceva «figlio di un sansepolcrista», ma tutti si sono dimenticati di dire che Ella è anche «nipote di un fascista», suo nonno materno Giovanni Gardini, fascista della prima ora, amico di Balbo che seguì in Libia, e che dopo l'8 settembre scelse la Repubblica Sociale. Lo scrisse Giampaolo Pansa, ricordando le sue stesse parole, ne La grande bugia (2006). Ma, Ella scrisse, era «benvoluto da tutti», non si oppose a che la figlia sposasse un partigiano dc, era affettuoso con i nipotini. Insomma, un fascista atipico?

.................C   IL GIORNALE

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