Cioran e l'apocalisse verso la Bellezza

*MARCELLO VENEZIANI

Quando stai giù e vedi tutto nero, leggi Cioran. Non so se definirla cura omeopatica o terapia d'urto. Ma leggendo E.M. Cioran vedi quali splendidi fiori può generare l'umor nero, innaffiati dalle lacrime più amare. Cioran ti porta verso il nulla, ma è così scintillante la sua disperazione, così brillante la sua vena apocalittica, così eccessiva, da provocare una specie d'euforia degli abissi.











Emil Cioran (1911-1995) visto dal disegnatore Dariush Radpour





Vedi lo spettacolo dell'intelligenza in rotta col mondo e la vertiginosa ebbrezza del cupio dissolvi, vedi l'allegria del naufrago e perfino l'umorismo che si nutre di l'umor nero in una forma inedita di umoralismo. Una spremuta di pessimismo cosmico e vien fuori un succo grottesco di tetro entusiasmo. Tutto appare vano, suicidio incluso; di fronte al male pensi con lui al peggio e quasi ti ristori, la tua disperazione privata annega in quella cosmica e si stempera nell'universale. Persino il sole piange e si fa nero nelle pagine di Cioran. Ma avviene il miracolo: ritrovi il piacere dell'intelligenza, il gusto della lettura, la voluttà dell'imprecazione. La grazia e l'estasi del nulla.
C'è una cosa, tuttavia, che fa disperare Cioran più della vita: è l'errore di stampa. Lo confessa con candore, e qui tradisce la vanità del nichilista che pur abitando nel Nulla, tiene alla cura e alla perfezione della parola, e coltiva l'amor proprio e l'imperativo assoluto di farsi leggere e ammirare.

È uscito un librettino cioraniano, anzi due in verità, da Mimesis. Ma uno, "Intellettuale senza patria" (pagg.84, euro 4,90), è un trailer formidabile che riassume l'opera di Cioran, le sue ossessioni, il suo tragico narcisismo, la sua teologia dell'assurdo (l'altro è Il Nulla, lettere a Marin Mincu). Nell'intervista a Jason Weiss c'è il suicidio come idea che salva la vita - l'arte di uccidersi col pensiero - c'è il nulla che pervade tutto e riduce l'essere a vacuità, o peggio a evacuazione, la noia che penetra la vita, e poi la sua biografia mistico-macabra: l'amicizia da bambino col becchino e l'assidua frequentazione di scheletri e cadaveri, il rimpianto della madre di non aver abortito anziché far nascere un disperato come lui, la fuga in bagno da bambino quando il padre-pope recitava a tavola le preghiere, la bici per combattere l'insonnia pedalando fino allo sfinimento, il piacere di dichiararsi nullafacente e non solo nullapensante, la civetteria di imbucarsi da clochard nelle cene, la bugia confessata di aver frequentato la Sorbona, il Cafè de Flore, preferito perché riscaldato, dove scriveva al tavolino accanto a Sartre, nichilista ben più deprimente di Cioran con l'aggravante di voler cambiare il mondo; e poi il racconto delle sue estasi e della mistica, separate da ogni religione e accompagnate dal fantasma di Dio, compagno fittizio di solitudine e pseudonimo altezzoso del Niente..... c  IL GIORNALE