IL DEMONE RUSSO
“Dopo lo stalinismo storico e un probabile successivo stalinismo senza lacrime, in Russia seguirà un lungo periodo grigio e burocratico, sempre nel consueto stile autocratico, che coinciderà con il crollo dell’URSS e con l’emergere di una Russia, nuova in apparenza, ma legata con impressionante continuità allo spirito ancestrale di quel Paese, selvaggio e dispotico, teatrale e drammatico. Una Russia che saprà con sottile e spietata regia ricostituire il suo antico impero eurasiatico, se mai lo avrà perduto.
Nella Russia staliniana realtà e virtualità coincidevano nella generale prospettiva rivolta al Capo. Un Capo che non guardava il suo popolo, restando fisso in un atteggiamento perennemente e volutamente distratto. Il sistema era, infatti, preordinato nell’ottica del Capo, della Sua celebrazione. A Lui si orientavano tutti, verso di Lui dirigevano lo sguardo come raggi le molteplici sfaccettature del Paese dei Soviet, a Lui prestavano sconfinata attenzione uomini e cose, istituzioni e arti, opere e giorni. Lo sguardo di Stalin si smarriva nell’ampio gesto imperiale di contemplazione del suo popolo, di ogni singolo attore del variegato universo sociale, con ostentata sufficienza e provvidenza.
I fondamenti della cultura russa diventavano così funzionali alle esigenze di Stalin e, in ultima analisi, a quelle della Russia eterna. Un approccio che tende a rinnovarsi come le creature di Prometeo nella storia russa fin dalle sue origini. Un’incessante ricerca del consenso, attraverso la progressiva “spettacolarizzazione” di tutto, compreso il terrore. Un fideismo delle immagini e della coreografia su cui si fonda il potere. Un meccanismo smisurato e perverso, che lungi dal pendere dalle sue labbra, dipendeva essenzialmente dagli occhi di Stalin. Il trionfo del culto della personalità in mostra e in veduta, nel segreto delle stanze, nelle vie e nelle piazze. E proprio nella visione di Stalin si generava e rigenerava l’identità della Russia. In altre forme si assisteva al risorgere della statolatria degli zar.
Non diverse saranno le scansioni delle future stagioni politiche russe. Tra risorse sconfinate e immense ricchezze, tra incredibili e seducenti aperture di credito al mondo, tra geniali strategie di attacco e sofisticati disegni di aggiramento degli ostacoli, il carattere russo si misura sulla scacchiera del mondo. Profetico fu, in tal senso, il discorso pronunciato da Dimitri Manuilskij di fronte all’Accademia politico-militare di Mosca a metà degli Anni Trenta. Un’autentica teorizzazione della scalata al dominio mondiale, mediante le accattivanti sirene dell’offerta di amicizia al’Occidente. Incorreggibile giocatore, il russo minaccia e azzarda, pronto a arretrare di fronte al rischio di non essere pari alla sfida.
Analogamente si manifesterà il compiacimento totalitario espresso nell’immaginario collettivo che rientrava e viveva negli sguardi di Stalin. Lo scendere del silenzio su chi sa e chi parla annuncerà il clima degli anni che, tra il 1919 al 1929, porteranno alla nascita del regime staliniano. Segno dell’eterno ritorno del mito di uno zar, ricorrente e affascinante demone della secolare vicenda della Russia, tentazione insopprimibile dell’anima di quel popolo. Zarismo, Bolscevismo, Socialismo Reale, e altri travestimenti inimmaginabili che si susseguono con masochistica voluttà. Profetiche furono, in proposito, le conclusioni di Panait Istrati in –Soviets 1929- (Les Editions Rieder, Parigi, 1929) - Il pericolo è dentro di voi, diceva l’autore, rivolgendosi ai russi del suo tempo, ma in voi c’è anche la vostra salvezza. Potete ancora essere i padroni del vostro destino! – Un invito coraggioso, dunque, a liberarsi finalmente dall’oscura maledizione che da sempre grava sull’animo russo. Un invito, purtroppo, caduto nel vuoto. Considerazioni, quelle di Istrati, di straordinaria attualità.
La democrazia non corrisponderà ancora a lungo ai canoni scenografici del dramma russo. Difficile prevedere se e quando la Russia conoscerà qualcosa di simile alla democrazia.” – Dalle testimonianze orali di Casalino Michele (1908-1987), a margine de “IL TEMPO E LA MEMORIA” di Casalino Pierluigi (Ennepilibri, Imperia, 2006).-
Casalino Pierlugi, 2.09.2010