DIRITTTO E INTERNET

FACEBOOK.jpgQuesto articolo è tratto da www.apogeonline.com. L’Asino Rosso lo ripropone in versione parziale per motivi di spazio.
A cura di David Palada (david.palada@libero.it)

Reati d’opinione in rete, i limiti del 50-bis
di Elvira Berlingieri

Il “pacchetto sicurezza” del governo s’è arricchito al Senato di un emendamento contro i reati di opinione commessi attraverso internet. Concepita sull’onda emotiva delle proteste per alcuni gruppi di Facebook, la norma apre però enormi problemi operativi e crea pericolosi precedenti giuridici.

Il 5 febbraio scorso il Senato ha approvato il ddl n. 733 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica con 154 voti favorevoli e 114 contrari. Il testo del provvedimento presenta, tra le altre discusse misure, l’introduzione di disposizioni volte a reprimere l’utilizzo di internet per commettere reati di opinione, come l’apologia di reato o l’istigazione a delinquere. In modo particolare il testo del disegno di legge introduce in capo al ministero dell’Interno il potere di emettere un decreto che ha come destinatari gli Internet Service Provider, per imporre loro l’obbligo di filtrare i contenuti ritenuti illegittimi al fine di renderli inaccessibili ai loro abbonati. Prevede, inoltre, sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancata ottemperanza al decreto che impone il filtraggio entro le successive 24 ore.

L’articolo 50-bis nel quale sono confluite le disposizioni che andremo a esaminare , sembra essere stato presentato sull’onda emotiva causata dalla presenza su Facebook di gruppi in favore di mafia e stupro, come dichiarato dal proponente D’Alia negli scorsi giorni. Il senatore si è immediatamente opposto all’adozione del ddl per altre ragioni politiche sostenendo invece che l’emendamento concerne il «contrasto all’uso distorto e criminogeno di alcuni social network su internet». Le reazioni in rete e sulla stampa sono state immediate e preoccupate. Il timore principale, infatti, è che la nuova regolamentazione possa essere utilizzata anche indirettamente come strumento per oscurare contenuti “scomodi” prima dell’accertamento processuale dei reati.
In modo particolare, per quanto riguarda il decreto che dispone l’oscuramento, il legislatore non ha specificato l’obbligo di motivazione, che invece è sempre necessario per gli atti della magistratura, e coinvolge soggetti sostanzialmente estranei ai reati, gli Isp appunto. Come se ciò non bastasse, introduce l’intervento del governo in un procedimento penale, sinora di competenza esclusiva della magistratura. La preoccupazione sale anche in ordine alle modalità tecniche con cui il disposto, qualora dovesse superare il vaglio della Camera, potrebbe essere adottato. Le problematiche sono moltissime: analizziamo, quindi, in dettaglio il contenuto dell’articolo 50-bis del ddl 733 cercando di individuare quale scenario potrebbe realizzarsi in caso di sua approvazione.

Il campo di applicazione

L’articolo 50-bis, rubricato Repressione di attività di apologia o incitamento di associazioni criminose o di attività illecite compiuta a mezzo internet, dispone al primo comma che
Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

La norma prevede, quindi, che nel caso in cui la magistratura stia procedendo per uno dei reati indicati la stessa possa chiedere e ottenere da parte del ministero dell’Interno un decreto che imponga ai provider l’obbligo di oscuramento. Ci sono due punti chiave, quindi: il coinvolgimento dei provider e l’intervento del ministero.

Le tecniche di filtraggio

Nel nostro ordinamento gli obblighi di filtraggio e oscuramento di contenuti previsti in capo ai provider concernono il materiale pedo-pornografico, i siti non autorizzati che effettuano scommesse e il materiale coperto da diritto d’autore. Per quanto riguarda l’obbligo di oscurare materiale pedo-pornografico, la segnalazione dei siti da oscurare avviene a cura del Centro nazionale per il contrasto alla pedo-pornografia. La stessa legge che istituisce il Centro impone ai provider l’obbligo (art. 19, che introduce l’art. 14-ter) di segnalare al Centro informazioni relative ai reati previsti nel caso ne vengano a conoscenza, pena sanzione amministrativa dai 50 ai 250 mila euro. I Monopoli di Stato, invece, redigono periodicamente un elenco dei siti che devono essere oscurati a cura dei provider italiani pena sanzioni pecuniarie dai 30 ai 180 mila euro. Se interpellati dalle autorità giudiziarie, inoltre, i provider devono porre in essere «tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti» in caso di violazioni di diritto d’autore, come previsto dalla legge 128/04, pena una sanzione pecuniaria dai 50 ai 250 mila euro. […]

È questo il caso che si verificherà se l’emendamento diventerà legge? Il problema è di importanza non secondaria, proprio perché l’intento del legislatore è quello di colpire attività capillari di manifestazione del pensiero che possono rientrare nei reati inclusi nell’emendamento, e che tipicamente si svolgono all’interno di social network come Facebook, per l’appunto. Che, quindi, non sono caratterizzati da un dominio e da un Ip indipendente, ma individuati a livello di piattaforma come servizi in sé e per sé e capaci di ospitare molteplici utenti su uno stesso indirizzo Ip.[Nota del curatore: in pratica tutta Facebook verrebbe chiusa, anche se il reato è “partito” solo da alcune persone]. […]
Il sacrificio rischia anche di essere completamente inutile. I contenuti, soprattutto in questo momento storico, possono essere ripresi e integrati all’interno di più piattaforme dai diversi utenti che decidono di condividerli. Un testo (o un’immagine o un video), per esempio, può essere citato o ripreso integralmente da uno o più blog e da uno o più social network, con l’effetto pratico che il contenuto non si trova più solamente sul server di origine ma su diversi altri, spesso commerciali e pertanto non sotto il diretto controllo tecnico dell’utente. [ Nota del curatore: farò un esempio banale: se due tizi al bar parlano male di una persona, la diffusione della calunnia è limitata all'area del locale e di tutti quelli che lo frequentano. Sulla rete, la diffusione è senza confini, ogni dialogo è pubblico e può essere ripreso e raggiunto da chiunque].[…]

Questo tipo di approccio esclude che il contenuto possa essere ritenuto come pubblicato sempre ed esclusivamente presso una unica fonte, anche perché il contenuto continua a circolare attraverso la condivisione effettuata dai contatti dell’utente. L’attuale funzionamento delle applicazioni “social”, infatti, ha generalmente l’effetto di privare anche il soggetto che per primo li ha immessi in rete della possibilità obiettiva di controllare dove e come il proprio contenuto è stato incorporato o condiviso. Inoltre, visto che il provvedimento nasce proprio in considerazione dello specifico caso di Facebook e per le pagine create per aggregare più persone in gruppi, l’unico effetto che l’oscuramento [del sito] potrebbe raggiungere è quello di oscurare Facebook nella sua interezza, e cioè criminalizzare un intero servizio senza una base razionalmente e giuridicamente proporzionata, quale potrebbe essere una sentenza passata in giudicato.
La conseguenza più probabile dell’applicazione del disposto dell’articolo 50-bis, anche qualora si riuscisse a imporre un filtraggio più efficace[…], sarebbe dunque quella di creare un’imposizione legislativa che non avrebbe comunque la possibilità di raggiungere in concreto gli effetti che si propone di raggiungere. Non per come funziona il web contemporaneo, perlomeno. A conti fatti, il disposto dell’articolo 50-bis sembra in concreto poter raggiungere il solo effetto di creare un obbligo verso i provider che saranno destinatari degli eventuali decreti del ministero, con la conseguenza di esporre i provider stessi a un duplice rischio nel caso non riescano ad attivarsi entro le 24 ore previste. Non solo alla sanzione amministrativa, dunque, ma anche alla possibile imputazione di concorso nel reato per il quale si è chiesto l’oscuramento, insieme all’autore della violazione, per avere agevolato la commissione dell’illecito non avendo ottemperato agli ordini dell’autorità. Un paradosso, questo, se si pensa alla difficoltà di individuare l’autore originario dell’illecito in virtù di quanto abbiamo appena detto del funzionamento della rete. […]

Elvira Berlingieri si occupa di diritto d'autore e proprietà intellettuale, tutela del software e diritto delle nuove tecnologie, conciliazione e mediazione. È consulente legale presso privati e pubbliche amministrazioni. Docente e relatore in diversi master e corsi di perfezionamento, tiene cicli di lezioni al master in e-Medicine dell'Università di Firenze. Ha pubblicato il manuale Legge 2.0, il web tra legislazione e giurisprudenza (Apogeo, 2008).
In Rete: elvlog.wordpress.com

(ELVIRA BERLINGIERI)

DAVID PALADA (a cura di)

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