Le relazioni esterne della Russia all'indomani dei fatti di Parigi.

Lenin nel novembre del 1918, sulle pagine della Pravda, aveva detto
per primo che che la rivoluzione bolscevica era un rivolgimento
"russo" contro l'imperialismo straniero. Con queste sue parole, il
capo della Russia, intendeva fare una dichiarazione quanto mai
esplicita del nazionalismo rivoluzionario militante, anche se tale
nazionalismo veniva evocato con accenti nuovi e ancor più pervaso da
spirito messianico internazionalista. L'imperialismo anglosassone e
della Francia sarebbero stati d'ora in avanti i nemici da battere. Una
politica che avrebbe portato la Russia ad aiutare la Germania a
liberarsi dagli imperialismi stranieri. Nel dicembre del 1918 Stalin
fece eco all'appello di Lenin nello stile più tipicamente russo,come
se fosse uscito dalle pagine di Dostoevskij. Molti dei dirigenti
sovietici fecero affermazioni analoghe "Chi la vende ora agli inglesi,
ai francesi, ai giapponesi, ai turchi, ai cinesi e ad un qualsiasi
altro compratore?" affermava nel giugno 1919 Kalinin, neo presidente
sovietico. Zinoviev, con orgoglio russo, ripeteva che l'Occidente "era
marcio" . Nel 1920, di ritorno dalla Germania, lo stesso Zinoviev
diceva che "se si ascoltano in treno le parole che si scambiano
commercianti e speculatori, non si sente parlare d'altro che di
profitti e di "affari". "Se si osservano i borghesi, o le donne, si
vede quanto tutta questa umanità sia stupida e volgare, banale,
offensiva per il decoro umano", aggiungeva il rivoluzionario russo.
Secondo Lunaciarskij, c'era da auspicare una Russia avanzata come gli
USA, ma senza il capitalismo. "La Russia, a partire dal Cinquecento,
si è presentata in tutto e per tutto come il paese più agitato e più
rivoluzionario d'Europa" sosteneva Pokrovskij, che esaltava la Russia
come il vero centro del mondo. Il poeta Vladimir Kirillov (1890-1943)
scriveva "Tu Russia rinnovata, entri nella gara mondiale, come il
divino Messia dal volto di sole e tenendo fieramente alta la
testa...". Lenin fu paragonato ad un nuovo Pietro il Grande. Fu,
infine, Stalin a far assurgere ad ideologia il nazionali-bolscevismo,
di cui egli divenne l'incarnazione vivente. In realtà, quello che era
chiamato "sciovinismo dei Grandi-Russi dipendeva da incontrollati
fattori demografici e, almeno direttamente, lo stato non c'entrava.
Anzi Mosca dava ordini al mercato secondo una logica di espansione di
economia e di popolo. Con la caduta del regime sovietico, la Russia ha
poi vissuto una difficile transizione da economia "di comando" ad
"economia quasi liberalizzata", segnata tuttavia da quella che è stata
chiamata paradossalmente la "maledizione delle risorse", risorse
immense, come il petrolio, ma mai poste a vantaggio compiuto della
società. Adagiandosi su tali risorse, la Russia non ha pensato a
rivolgersi verso altre direzioni. Così, crollando il prezzo del
petrolio, la Russia è entrata in crisi. E' iniziato così un nuovo
esperimento politico e si sa che quando la fonte di reddito si
inaridisce, si aprono nuovi scenari. Il ritorno della Russia nella
politica mondiale non obbedisce solo a questa considerazione, ma anche
ad una precisa esigenza di tenuta interna, in attesa di rivisitare la
sua logica produttiva e le sue enormi possibilità di sviluppo. La
variabile indipendente del terrorismo islamico alle sue frontiere
costituisce, inoltre, un fattore assolutamente inedito, il cui ruolo
può spingere la Russia a riflettere su quanto diventi marginale la sua
volontà di potenza senza una adeguata collaborazione con i
tradizionali nemici di ieri.
Casalino Pierluigi, 15.11.2015