Letteratura Neonoir: M.A. Pinna: recensioni "Lo Strazio" e Mr. Yod non può morire

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** Mr. Yod non può morire (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2012)

Recensione di Cinzia Baldini

 

 

E se un giorno il Padreterno si stancasse di vivere e provasse il desiderio di morire? Di condividere, quindi, il medesimo destino di quell’umanità che lui avrebbe creato "a sua immagine e somiglianza?"

 

Con un ragionamento, che un matematico definirebbe per assurdo ma che in realtà è assolutamente razionale, dal tono ironico e per alcuni versi anche comico, tale situazione l’ha ricreata la promettente autrice Maria Antonietta Pinna nelle pagine del testo teatrale che porta la sua firma: MISTER YOD NON PUO’ MORIRE.

 

"Vi ho convocato qui per dirvi che ho preso una decisione… 

 

non è facile per me dirvi quello che sto per dirvi,

 

sempre che riesca a dirvelo…

 

Non mi ricordo più quanti anni ho, sono stufo.

 

Yod di qua, Yod di la, Yod fai questo, fai quest’altro,

 

chi mi cerca a destra, chi a sinistra,

 

appelli, richieste, suppliche! Basta faxarmi,

 

telefonarmi, scrivermi, citofonarmi, basta pubblicità!

 

Sono stufo! Fuori servizio, chiaro?

 

E non mi riferisco solo a voi ma a tutti gli altri, a tutti!

 

Quello che nessuno ha capito è che voglio essere lasciato in

 

pace. In una parola aggiustatevi! Ne ho le tasche piene!" 

 

Nei tre atti in cui è suddivisa la sceneggiatura assistiamo proprio al maturare del proposito da parte di Dio di farla finita, di essere "falciato" dalla Nera Signora, dalla ricerca quasi disperata dei mezzi con cui attuare l’insano progetto ed infine, quasi a tempo scaduto, il drammatico ripensamento.

 

MISTER YOD NON PUO’ MORIRE è  un testo scritto in modo interessante e attuale la cui logica ineccepibile mette in discussione certezze sedimentate ormai da secoli. E un’autrice così dotata, Maria Antonietta Pinna, da essere riuscita a far calzare perfettamente e senza strappi la razionalità umana a quella divina del supremo ispiratore delle tre più grandi religioni monoteiste attuali.

 

La narrazione ha una costruzione strategica con richiami ad argomentazioni teologico/filosofiche e i personaggi selezionati per accompagnare, nei tre atti, lo sviluppo dell’autodistruzione portata avanti da Dio, sono, per il simbolismo che racchiudono, come le guide scelte da Dante per la sua commedia. Ed anche il lavoro di Maria Antonietta Pinna potrebbe essere proprio una "Divina Tragedia" avendo le caratteristiche di un dramma teatrale vero e proprio.

 

Il "deus ex machina" della questione sarà proprio l’uomo comune che riuscendo là dove Paracelso e Don Abbondio hanno fallito, si proporrà quale alter ego a Yod/Dio e con la sua logica razionale, semplice e disarmante, sintesi di quella eterna -molto più complicata perché costituita dall’essenza originaria dei concetti stessi- lo porterà a rivedere i funerei propositi.

 

Quando nel primo atto, Mister Yod tenta di mettere al corrente la sua assurda famiglia sulla decisione presa, e assistiamo a dialoghi insensati, monologhi senza capo né coda, rinfacci e accuse meschine, la prima sensazione, "a pelle", che ci assale è di ansia, impotenza, con un forte senso di soffocamento e irrimediabilità per una situazione talmente deteriorata da essere, ormai, fuori controllo.

 

È il problema dell’incapacità di comunicare che, presentandosi sulla scena quasi in sordina, assume via via contorni netti e definiti fino a risaltare chiaro in tutta la sua drammaticità.

 

La difficoltà di rapportarsi l’un l’altro, di costruire serie e proficue relazioni sociali non è solo una questione di "salto generazionale" in quanto, se è vero che esiste tra generazioni diverse, è innegabile, che sussiste anche tra i vari sessi più o meno coetanei o tra familiari che condividono lo stesso tetto.

 

La depressione, l’apatia, l’ipocondria, il rinchiudersi in un mondo proprio, il non riconoscersi anche se si sono condivisi sentimenti profondi quale l’amore materno o quello coniugale, altro non sono che manifestazioni del "male di vivere", tematica nota e conosciuta benissimo dalla società contemporanea.

 

Ben presto, un ormai amareggiato Mister Yod si accorge che a nulla serve abbandonare lo snaturato "nido" familiare e cercare di ritrovare il proprio io, la propria individualità, le caratteristiche della propria personalità, tra le formule segrete, gli alambicchi o i simbolismi esoterici del laboratorio medico di Paracelso, come accade nel secondo atto.

 

Stanco e disilluso il Nostro Protagonista cerca, nella terza parte, il conforto della religione impersonata suo malgrado, dal misero e codardo Don Abbondio. Errore madornale di valutazione da parte dell’Eterno, perché persino nella dottrina che dovrebbe essere sua diretta emanazione, non riconosce nessuna qualità, tantomeno si capacita di dover accettare bovinamente, solo "per fede", come vorrebbe il rappresentante della Chiesa, concetti che suonano ipocriti, falsi e banali persino alle Sue divine orecchie.

 

L’unico merito da ascrivere al pavido Don Abbondio è quello di aver messo l’immenso Mister Yod davanti al suo umile ritratto: l’uomo. L’Uomo Qualunque, quello che si incontra tutti i giorni per strada e di cui non resta memoria, "polvere alla polvere". Dio vi si rispecchia ma ciò che l’uomo –creato dall’Onnipotente e, mini creatore a sua volta, del mito di un Dio artefice della sua creazione- gli mostra, lo sconvolge ancora di più. L’uomo qualunque, senza tanti complimenti, lo mette davanti al fatto compiuto: latente, all’interno della Sua eterna coscienza c’è il male. Quindi se da Lui tutto è stato creato e tutto torna, anche a Lui che è Il Bene è da imputare la creazione della sofferenza, del dolore, delle iniquità, della negazione della vita per eccellenza: la guerra.

 

L’amara presa di coscienza, come un tarlo, inizia a divorare Yod dall’interno, ad acuire la sua crisi esistenziale, ad intaccare la sua immortalità e quindi ad avvicinarlo a quella dipartita, così a lungo agognata, indifeso, come tutte le altre Sue creature.

 

Più Dio riflette sul senso della morte, più essa si rafforza e si prepara a ghermirlo, più il sibilo della falce si avvicina, più Yod ci ripensa e non vuole morire. Ora che la sua mente super razionale è in comunione con quella degli uomini, si confonde, si perde nell’incapacità di comprendere perché la vita debba finire. Anzi perché l’esistenza debba essere un lungo cammino di espiazione verso il nulla della morte dove persino lui stesso, essenza creatrice per eccellenza, viene dimenticato, annullato dalla potenza del non essere…

 

"…ma adesso

 

che sono debole, vecchio, stanco, ammalato, solo, ridotto ad

 

un’idea dimenticata nel fondo d’ottuse coscienze, non voglio

 

più morire, non so perché, ma non voglio, io che sapevo, che

 

potevo tutto, non voglio, non voglio, non voglio morire...

 

(Si accascia al suolo mentre la sua voce

 

diventa il gorgoglio d’un agonizzante)."

 

SIPARIO!

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