QUALE FUTURO?
Piero Sansonetti
(PIERO SANSONETTI, estratto)
La sinistra si trova in una selva oscura, senza bussola, e deve trovare la via d’uscita. Le abitudini che ha preso nell’ultimo ventennio la spingono a cercare un aiuto che venga da fuori. Il vecchio vizio: Stalin, l’armata rossa, la Resistenza, Moro, le brigate rosse, Craxi, Blair, i giudici e infine Monti. Se non supera questo riflesso condizionato, se non rinuncia al Deus ex macchina, è spacciata. Morirà.
È immaginabile un Occidente – o comunque un’Europa ‒ senza sinistra, interamente piegato sul liberismo, privo di conflitti consistenti, guidato da una oligarchia incontrastata? Diciamo che è difficile immaginare una simile “stasi” in una situazione di pieno funzionamento della democrazia. La democrazia è un meccanismo che rifiuta l’assenza di conflitti e che comunque produce idee e alternative. Sono cose che stanno nel suo Dna e sono ineliminabili.
L’impressione però è che l’Europa sia entrata in una fase della sua storia nella quale la democrazia è sospesa. Da una parte la velocità imprevista della globalizzazione, dall’altra la quasi scomparsa delle funzioni degli stati nazionali hanno provocato un divorzio talmente rapido tra sovranità popolare e potere di decisione da provocare un vero e proprio collasso della democrazia. È saltato il percorso tradizionale che conduceva dal meccanismo elettorale al potere di Stato, perché è saltato il potere di Stato ed è uscita di scena la politica (esautorata dalla globalizzazione e delegittimata dall’attacco concentrico delle borghesie e della macchina dell’informazione). Con la democrazia in mora, per la prima volta nella storia recente, la scomparsa della sinistra dalla scena è una eventualità tutt’altro che impossibile. La sinistra non sempre produce democrazia ma la sinistra non può vivere senza democrazia.
Perciò è inutile sperare ancora una volta in un aiuto esterno, e cioè nella certezza che siccome in politica non esiste il vuoto, comunque vada una sinistra esisterà sempre. Non è così: il rischio scomparsa è consistente. E la possibilità di evitarlo non è nelle mani del destino ma solo ed esclusivamente nelle mani della sinistra stessa.
Cosa si può fare? Innanzitutto bisogna cercare di individuare gli elementi essenziali che negli ultimi due decenni hanno “tarpato le ali”. Credo che uno di questi sia stato la divisione. E cioè l’accettazione, da parte di tutti i gruppi dirigenti della sinistra, dell’idea che è bene che le sinistre siano due. La sinistra radicale e la sinistra moderata. E che di volta in volta queste due sinistre possano allearsi o invece combattersi. Sulla base di che cosa? Di due visioni diverse del mondo, della società e dell’economia. L’idea che ha prevalso è che questa diversità era la ricchezza della sinistra. Perché le permetteva di tenere al suo interno, pur nella sua articolazione partitica, “pezzi” di società molto diversi.
La convinzione che l’Italia avesse bisogno di due sinistre, naturalmente, ha sempre avuto una motivazione, per così dire, “storica”. Visto che è dal 1956 che le sinistre in Italia sono due e molto importanti. La sinistra comunista, rappresentata per mezzo secolo dal più forte partito comunista di tutto il mondo libero; e la sinistra socialista, più vicina alla sinistra europea, molto attiva ma sempre con la “zavorra”, come si è visto, della sua scarsa forza elettorale. Lo schema delle due sinistre, che ha dominato l’ultimo ventennio, è in gran parte eredità della vecchia diarchia di comunisti e socialisti. Solo che la divisione ha perso la sua forza di origine. Nel senso che la ragione della divisione tra socialisti e comunisti era evidentissima, sin dall’atto di nascita di questa divisione, e si chiamava Urss, Mosca, comunismo reale, culto della libertà. I socialisti non accettavano la dipendenza del Pci da un mondo illiberale che aveva portato all’invasione dell’Ungheria. E infatti la rottura tra Pci e Psi nacque in quei giorni, mentre i carrarmati russi occupavano Budapest per stroncare una ribellione operaia liberale, arrestavano il presidente Imre Nagy, comunista dissidente, e lo impiccavano. La concezione totalitaria della politica che era molto forte nel Pci, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta, era un motivo assai robusto di divisione in due della sinistra. E a rappresentare le due sinistre c’erano due parole fortissime e piene di contenuti, e di storia, e di teorie politiche: riformista e rivoluzionario.
La divisione in due della sinistra, successiva alla caduta del muro di Berlino nell’1989, francamente, è stata assai più fragile. In gran parte era una contrapposizione di nomi, di parole, di bandiere, di gruppi dirigenti. Naturalmente questo non vuol dire che non ci fosse anche una sostanziosa differenza di linee politiche. Chiaro che c’era e che c’è ancora, e riguarda essenzialmente il giudizio che si dà sul liberismo. Ma una differenza di linee politiche si affronta con gli strumenti della politica, e non può essere messa sullo stesso piano della vecchia incompatibilità ideologica, insuperabile, che c’era tra Pci e Psi.... C
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