NONNA CECILIA (tratt o dal romanzo “Un do no per me e per te” di Giovanna Guardian i )

Quando la mia famiglia andò via dallacampagna, mio padre vendette il casolare a due coniugi, il signorGuglielmo e la signora Cecilia. Nacque una bella e duratura amiciziatra la mia famiglia e i due coniugi e così quando volevo mirintanavo in quel luogo meraviglioso. Nonna Cecilia, così lachiamavo, rappresentò il mio porto sicuro per tanti anni. Divenniadulta… e lei era sempre lì ad accogliermi col suo luminososorriso.

Nonna Cecilia lavorava nei campi,ascoltava la terra e la ringraziava. Quando cominciò ad avvertire iprimi segnali di un possibile progresso e tutti erano felici diabbandonare la loro condizione di povertà e molti cominciarono alasciare il paesino, le terre per andare nelle fabbriche, perpreparare un mondo migliore, lei diceva:- Potrà essere un giorno ilmondo migliore se per costruirlo soffochiamo la terra? Come potràl’uomo un giorno ascoltare la terra, sentire i suoi profumi, i suoisuoni, il suo alito se tutto sarà coperto di cemento? Come potràavvertire se la terra starà bene o male?

Lei guardava lontano e aveva anche ilsospetto che l’animo dell’uomo ne avrebbe sofferto. Qualcosa diprezioso sarebbe morto dentro di lui e anche la terra, forse, sisarebbe ammalata. Nonna Cecilia non era andata a scuola eppure quantasaggezza! Come se l’era costruita non lo so. L’avevo conosciutacosì. Si presentava sempre per quella che era. A novant’annicontinuava a ripetere:- Prendetemi per quella che sono con tutte lemie debolezze, la mia stupidaggine, se non ci riuscite, lasciatemistare, per me va bene lo stesso.

Per nonna Cecilia prima venivano lepersone poi le cose. Non dava mai ordini a nessuno, si muoveva sulsentiero dell’amore e della gioia. Aveva un viso rugoso, maabbronzatissimo, con due occhietti vivi, vispi, curiosi. Era unabella donna e lo sapeva. Mangiava poco, non si abbuffava, maricorreva spesso ai cibi nutrienti. Quante volte l’avevo vista berel’ovetto fresco e un bicchierino di marsala, mi diceva:-Sai valgonopiù di una medicina. Era una grande lavoratrice, ma sapeva ancherilassarsi, divertirsi, assaporare le piccole cose.

Con lei tutto acquistava un fascinoparticolare. La domenica mattina, quando stavo da lei, ed ero ancorauna bambina, passeggiavamo lungo la strada principale del paese e nonsi limitava a salutare chi incontrava, lo abbracciava, lo stringeva,lo toccava.

Spesso organizzava feste e preparavavari tipi di pietanze. A volte, quando tutti erano seduti attorno aquell’enorme tavolo, lei si alzava e diceva:-Amici miei, figli mieiguardate la vita come a una tavola imbandita, assaggiate di tutto eassaporatelo fino in fondo e ora buon appetito! Col temo ho capitoche era una donna che amava e donava, come tutti del resto, Ciò chepossedeva. Lei possedeva amore e questo donava, se fosse stataignorante avrebbe donato la sua ignoranza, se fosse stata chiusaavrebbe donato i suoi pregiudizi.

Quando divenni signorina spesso miparlava dell’amore, non solo di quello universale che dovrebbelegare tutti gli esseri umani, ma anche di quello che unisce un uomoe una donna. Il suo percorso iniziò con una folgorante passione.Raccontava sempre che una sera andò ad una festa e all’improvvisonotò un bellissimo giovanotto alto, ma non c’entrava niente,ripeteva, che era alto, che aveva gli occhi verdi. Era ciò chesprigionava che per lei fu irresistibile e ciò che sprigionava nondipendeva dalle sue parole, non ci aveva ancora parlato, nondipendeva nemmeno dal tatto, non l’aveva ancora toccato e nemmenodal suo odore non l’aveva ancora annusato. Quell’uomo sprigionavaraggi magnetici che la catturarono in un istante e, in quell’istanteassistette alla sua metamorfosi: sentì di possedere cervello diversoe soprattutto un sesso diverso. Sentì un fluido percorrere il suocorpo e capì che niente poteva essere sotto controllo, fu pervasadall’irresistibile desiderio di unire il suo corpo a quello di luie di fondere le loro anime, le loro cellule interne. Si trattava diun richiamo che veniva da dentro… non poteva calmare, attutireniente; era troppo forte ciò che sentiva. Assisteva impotente allostravolgimento dei suoi sensi:

Quella sera iniziò il suo viaggio e,giorno dopo giorno, scoprì di cosa era capace, cioè di tutto. Lapassione spazzò paure, limiti, fece in modo che non ci fosse piùposto per la ragione e la riempì di emozioni, di sentimenti e la unìal suo uomo e nello stesso tempo al mondo. Era come se tutto il suoessere si fosse impregnato dell’energia del mondo e inevitabilmenteanche lei sprigionava energia.

Ascoltandola capivo che la passione nonsi costruisce, non si programma. Capita e, nell’istante in cuicapita, non si è più quella che si è sempre creduta di essere, purvolendo, non si può più essere quella di prima perché si ha a chefare con il rapimento. La passione entra in modo violento, diretto.

Entra senza preavviso.

Un giorno, quell’affascinantegiovanotto così come all’improvviso era apparso, scomparve. Sposòuna ragazzina di un paese vicino al suo. Nonna Cecilia soffrì molto,ma col tempo capì che la passione non arriva per portare sicurezza,stabilità, arriva proprio per destabilizzare, per togliere l’uomodalle sue abitudini, certezze e riconnetterlo all’energiadell’universo. In seguito arrivò un altro uomo, quello da sposare.

Gli incontri erano meno surriscaldati,meno esplosivi e scoppiettanti, lasciavano spazio ai progetti, aidesideri da realizzare, a un amore che richiedeva condivisione,affetto, energia diluita nel tempo. L’amore, diceva, va trattatocon cura, l’amore a volte richiede anche saggezza. Lamore sempreporta con sé lo struggente desiderio di legare l’altro a sé,bisogna stare molto attenti a legare l’altro. E’ bene legarel’altro con un filo invisibile. L’altro deve avere sempre lacertezza che può andare e sentire di voler restare.


Un giorno assistetti alla sua morte, poco prima di morire mi disse:-Muoio serena e non solo perché sonoarrivata dove la mia anima desiderava arrivare ma anche perché so diaver vissuto.