L'incontro tra la pratica del ritratto e e le continue ed incessanti spinte che l'arte impone alla forma tra la fine dell'Ottrocento e l'inizio del Novecento, sembrano mettere in forse la secolare consuetudine di di riprodurre le fattezze umane. La nascita e lo sviluppo della fotografia, del resto, sono la realtà, la concorrenza, la convenienza, la modernità, la fretta. E, pur tuttavia, il ritrattato sopravvive alle stagioni delle avanguardie, al conflitto intestino tra tra espressionisti e futuristi, a due guerre mondiali, all'astrazione, al surrealismo e all'informale, come un qualcosa che vince il trascorrere del tempo e si impone su di esso. Se è vero che ritrarre deriva dal termine latino "retrahere" (trarre indietro),, sembra che solo il Novecento riesca a rispettare l'etimologia della parola, riuscendo a rovesciare i termini della questione, spostata dalla somiglianza all'identità, dal simulacro all'inconscio, nella sfida continua di tecniche e di stili che convivono e si confrontano, si fronteggiano e si superano. Da quando il ritratto si affaccia alla storia moderna con Giorgione e lorenzo Lotto e prosegue con Tiziano e Raffaello, che mise in effigie il maggior suo rivale, Michelangelo, nella "Scuola d'Atene", che rispose in modo imapreggiabile fissando l'Urbinate nel "Giudizio Universale". Con il trascorrere dei secoli fisiognomica e psicologia, estetica e criminologia danno al ritratto altri significati e ulteriori valori simbolici, tra semplificazioni e e gesti primordiali, tra recupero di arcaici e geometrici assetti, nella ricerca di spazi e di sublimi invenzioni, come se una mano invisibile, primitiva e quasi assente: un progressivo susseguirsi di raffinate e bizzarre collezioni di volti. Da Artaud a de Vlaminck, attraverso Matisse e Magritte, Dufy e Gris, Manganelli, Picasso, Valadon, de Chrico, Modigliani, Soutine, Bacon, Baselitz, de Lempicka e Severini, il ritratto definisce la sua forma nuova e pressocchè definitivo. Con l'avvento delle avanguardie, poi, entrano in crisi della bellezza, vengono rimessi in discussione, si smontano e si rimontano, disarticolando e ricreando i lineamenti del volto umano, come se fosse una pura geometria, puro spirito, pura traccia. Il ritratto recupera ciò che è più remoto, più nascosto in seno alla coscienza e lo porta alla luce, ne evidenzia la profondità invisibile, l'indefinita forza che lo disegna dall'interno, in altri termini, il calco, riproponendo quell'eterna coesistenza tra la maschera e il volto, il dilemma tra l'essere e l'apparire, mettendo a segno quel "trarre indietro" che è nel significato stesso ed originario della parola.
Casalino Pierluigi, 30.06.2012
Alla Mecca il profeta preferito dai musulmani era Mosè; a Medina il suo posto fu preso da Abramo, e Maometto trovò ottime risposte da opporre alle critiche degli ebrei:lui e i suoi musulmani erano tornati allo spirito più puro della fede (hanifiyya) proprio di quegli uomini che erano stati i primi muslim a sottomettersi a Dio. Non sappiamo fino a che punto Maometto abbia condiviso il desiderio di alcuni arabi degli insediamenti di tornare alla religione di Abramo. Nel Corano non viene fatta menzione della piccola setta meccana hanyfiyya;e la figura di Abramo prima delle sure medinesi fu oggetto di scarso interesse. Tuttavia, sembra che in questo periodo i musulmani chiamarono la loro fede hanifiyya, la vera religione di Abramo. Maometto aveva quindi trovato una via per confutare gli ebrei, senza abbandonare l'idea centrale della sottomissione a Dio anziché a una mera espressione terrena della fede, e la rivalutazione dell'importanza di Abramo gli permise di approfondire tale c...