L’atteggiamento fideistico nei confronti della bontà di leggi e regolamenti umani esiste grazie all’irrazionalità di masse che ne danno per scontata la validità, a prescindere da come son fatti.
Esaminiamo la potabilità dell’acqua. La legge prescrive il controllo della presenza di un esiguo numero di contaminanti rispetto a quanto ce n’è di fatto nelle acque non trattate, come se vivessimo ancora in epoca neoindustriale. Come se casuali eventi non succedessero mai.
Il terremoto che squassa la città non produce crepe e crepine nelle condotte d’acqua potabile in fibrocemento, liberando amianto? Ma l’amianto non è nella lista, e per legge l’acqua è ancora ok.
Non finisce lì il pressapochismo potabile: è ammessa la presenza di sostanze ed elementi dannosi in quantitativi al di sotto di certe soglie di tolleranza. Come fanno a stabilirle? Sulla base dei risultati di prove sperimentali su cavie o scimmie, alle quali vengono propinate dosi crescenti di ogni sostanza in esame fino a che non si palesano danni. I tempi di prova in vivo sono ovviamente lunghi e per una SOLA sostanza alla volta. Non testano gli effetti dell’assunzione di due o più sostanze diverse. Eppure il potere moltiplicativo della sinergia di sostanze combinate è arcinoto (vedi bugiardini dei medicinali). La legge quindi si accontenta di rozze indicazioni di massima, alla faccia delle compunte dichiarazioni di Hera che vanta la sua acqua rigorosamente rispondente alle leggi.
Ma se per l’esiguità degli elementi monitorati possiamo ringraziare la superstizione del sindaco devoto alla legge e al nume Hera, non possiamo criticare la mancanza di soglie di tolleranza per sostanze multiple perché, purtroppo, è impossibile fare diversamente, dato che i tempi necessari ai test multipli supererebbero la vita del sistema solare. Il metodo per calcolare quante prove bisogna fare testando un insieme di sostanze è chiamato “permutazione”, il quale determina risultati astronomici già con pochi numeri in ingresso: il fattoriale di 70 (le sostanze monitorate nell’acqua potabile sono una settantina) dà 11.979 seguito da 96 zeri! Figuriamoci a testarne le migliaia che in tracce beviamo in ogni bicchier d’acqua! Per riuscire a testare l’insieme delle sostanze previste per la potabilità dell’acqua dovremmo essere immortali. Che dire? Madre natura e la stupidità umana rendono impossibile non vivere pericolosamente quando si è superstiziosamente aggrappati al potere degli amuleti. E fra i moderni amuleti c’è la legge sulla potabilità.
Ma ce ne sono di sempre nuovi, di amuleti. Fra i più recenti c’è la Rete di Grillo. Tramite quella i suoi devoti dovrebbero esercitare la democrazia diretta, dal basso. Immaginiamo che solo 70 grillini (una miseria rispetto al totale) si palesino in rete con loro proposte. L’intero popolo grillino, compresa la parte silenziosa e non solo quella chiassosa da blog, dovrà stabilire i collegamenti fra le corrispondenze esistenti nelle 70 manifestazioni arrivate. Stabilire collegamenti è un momento fondamentale del pensiero, e ognuno lo fa liberamente a modo proprio. Ma nel caso della rete, innovativo veicolo tecnologico che consente l’entrata in vigore della democrazia diretta, non ci si può permettere che un’idea, o una proposta, venga scartata solo perché non facilmente identificabile fra le tante: ciò che è roba da ridere nell’operato di un bottegaio è un flop da far arrossire di vergogna chi fa dell’UNOVALEUNO una regola fondante, per l’antidemocrazia implicita che rappresenta. Quindi? Considerato che la lettura non è lo sport nazionale, considerato che anche se lo fosse ci sono limiti fisiologici invalicabili per cui sciropparsi solo qualche migliaio di commenti in rete è già roba da superman, considerato che l’esaminare in vero contraddittorio 70 proposte comporta il numero di interventi astronomico succitato, l’amuleto Rete di Grillo può al massimo dare ai chiassosi la sensazione di vivere la democrazia, facendogli bere acqua ancor più inquinata di quella potabile, visto che l’unica cosa concreta sta nel titolo del suo statuto:
NON-STATUTO.
Ognuno ha quello che si merita, no?
Paolo Giardini