di Angelo Lippo
Siamo sinceri, non passa santo giorno che il Signore ha creato (intanto chiediamo scusa a Dio per averlo tirato in ballo), che non si apre una mostra, un festival, un reading poetico, una serata culinaria o di musica, non arrivino in libreria una catasta di libri che parlano di rapporti con la fotografia, il teatro, la pittura, la letteratura, la politica, insomma sembra di trovarci dinanzi ad un nuovo Diluvio Universale. Il fatto è che non c’è nessun Noè che dia ospitalità, perché l’assalto è continuo, caparbio, tenace, e sembra obbedisca ad un imperativo categorico: “non mollare”.
Queste celebrazioni per il Futurismo, più precisamente i “Futurismi”, considerati gli affluenti che sono nati da tutta una serie di festeggiamenti a diversi livelli, in misura predominante quelli “locali”, sarebbe più esatto chiamarli “localistici” e “provincialotti”, sono in teoria più che giuste, come ha scritto domenica 19 aprile sul Corriere della Sera Gillo Dorfles, il quale dopo aver detto che “finalmente si è riconosciuta l’importanza di questa corrente come la più geniale del primo Novecento”, ha altresì aggiunto che “Dall’altro lato, per contro, non ci si è resi conto di quanto trombonismo, enfasi goffa, retorica da strapazzo, risultava in tante affermazioni perentorie, esaltazioni eroi-comiche, sia nel settore visivo che in quello letterario del movimento”.
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