Ibn Sina^, che gli scolastici latini conobbero con il nome di Avicenna, nacque intorno al 980 a Bukhara, dove suo padre era governatore, e si spense ad Hamadan (Persia occidentale), nel 1037, al termine di una vita intensa, sebbene minata nella salute. Considerato il secondo pilastro del pensiero islamico, dopo il berbero-andaluso Ibn Rushd, l’Averroè dei latini, Ibn Sina^ è stato paragonato per la profondità e l’ampiezza della speculazione, a San Tommaso d’Aquino, anche se quest’ultimo subì principalmente l’influenza di Averroè. Di formazione araba e persiana, Avicenna fu intellettualmente precoce. All’età di 16 anni insegnava medicina, dopo studi condotti da autodidatta. E fu così celebre che i sovrani abbasidi lo nominarono medico di corte. Si misurò con un certo successo con la poesia. Nominato wizir dall’emiro buwhailide di Hamadan, compose poi più di 100 opere filosofiche e scientifiche in lingua araba e in lingua persiana, andate in gran parte perdute. In Occidente la sua fama di medico superò quella del filosofo. La sua opera più importante, “La guarigione”, tuttavia, fu di natura eminentemente filosofica. In essa, Avicenna coniugò l’aristotelismo neoplatonico all’Islam. Un Islam più aperto all’originalità delle interpretazioni teologiche, pur nell’ortodossia, rispetto a quello di altri pensatori arabi e musulmani. La fortuna di Avicenna è legata, peraltro, a una straordinaria e moderna analisi dell’inconscio e delle ragioni dell’essere.
Casalino Pierluigi, 30.03.2009