I GRECI E LA POLITICA

Fra le cause delle varie vicende che formano la storia dell'umanità il pensiero politico non è certo la meno importante. Anche quando esso non si traduce subito in azione, è agevole vedere come le concezioni dei filosofi che si dedicano a tale studio si trovino spesso alla radice dei grandi mutamenti politici e sociali. Non tutte le azioni umane nel campo politico, certamente, possono essere ricondotte a quell'origine; a parte i complessi motivi che reggono le attività dell'uomo, occorre tener conto dei sentimenti e delle passioni della moltitudine, dell'avida ambizione personale o di gruppo, nel che non meno che negli scritti dei filosofi si possono individuare le cause di molti eventi politici. Ma il semplice fatto che il pensiero politico abbia e abbia avuto nella storia europea larga parte come causa determinante dell'azione politica, è dovuto ai Greci, e almeno entro tali limiti il pensiero politico greco incide ancora sulla vita dell'Europa odierna. Furono primi i Greci d applicarlo coscientemente all'azione nel tentativo di costruire uno Stato ordinandone la vita secondo una serie di princìpi. E' superfluo dire che non sempre riuscirono nell'impresa., e che nella storia del mondo i loro risultati pratici furono di breve durata. Troppo spesso mancava il potere necessario per attuare la teoria, si quello materiale, cioè le risorse tecniche o la scienza applicata, sia quello politico: la possibilità di imporre con la forza o con la persuasione una struttura politica. La loro suprema creazione, la Città-Stato (Polis), insignificante, egoista e litigiosa, non è la maggiore eredità che ci hanno lasciato, pur rappresentando un notevole successo; il nostro debito verso i Greci è soprattutto verso gli uomini che crearono la scienza politica. Per essi era una scienza pratica, diretta a scoprire come costruire uno Stato e come vivere in esso nel miglior mondo possibile. Per noi, teoria e pratica sono separate, e dobbiamo essere riconoscenti a quei filosofi, non già per averci dato un consiglio pratico, sia pure in alcun casi avveduto, ma per aver creato l'abitudine della nostra civiltà mai completamente vinta, di ragionare sulle cose prima di agire. Che un'azione importante debba essere proceduta dal'informazione e dalla discussione, e non possa (e non debba)  fondarsi sugli umori passeggeri o le intuizioni di un despota, è uno dei princìpi della civiltà che le menti più elevate ed aperte dei Greci intesero sempre affermare, scorgendo in esso una parte del problema complessivo di trarre ordine dal caos, di sostituire la civiltà alla barbarie. Come ha dimostrato ampiamente il XX secolo, e ancora il nostro, esso è tale che che non può essere risolto una volta per tutto e poi messo da parte: ogni generazione deve riaffrontarlo, e così ogni popolo e ogni nazione, e ogni individuo lo ignora a suo rischio e pericolo. Tramite i Greci riusciamo a comprendere il processo storico destinato a creare la civiltà occidentale. In realtà non c'è pericolo che il primato e l'importanza dei Greci nel pensiero politico possano essere dimenticati. I Greci stessi erano propensi a vedere nella civiltà l'antitesi del dispotismo barbarico, i cui caratteri distintivi erano la schiavitù per tutti, l'assenza di riparazione giudiziaria e l'assolutismo politico (una tesi, quella del dispotismo orientale, cara anche a Wittfogel). Il raffinato benessere della Libia sotto Creso, l'organizzazione dell'impero persiano nulla valevano, mancando la libertà personale e l'imperio della legge. Naturalmente i Greci ben sapevano che non avevano il monopolio dei vizi del dispotismo e che anche gli stessi Greci potevano violare - e di fatto violavano - i princìpi del diritto e della libertà, conoscendo i rischi di tali degenerazioni per il sistema "democratico" da essi creato. Infine un'ultima considerazione: il pensiero dell'uomo intorno alle questioni politiche è largamente condizionato da tre fattori, la sua prima educazione e l'ambiente, la scena politica contemporanea e la conoscenza della storia del passato.
Casalino Pierluigi, 9.06.2014