Paolo Melandri - Saggio per il centenario del Galeotus- di Lamberto Caffarelli



Verso una rinascita del Galeotus (1912-2012)

Scrivo queste pagine d’introduzione al testo letterario del Galeotus, “poema scenico-musicale in quattro azioni” di Lamberto Caffarelli, già edito nel 1920, in duecentocinquanta elegantissime copie numerate, dalla stessa Casa Editice “Fratelli Lega” in Faenza che ora lo ripropone a un nuovo pubblico, nella speranza che si arrivi in tempi non troppo lunghi, grazie al rinato interesse nei confronti del Maestro, a una rappresentazione completa di testo e musica di questo opus excruciatum, travagliatissimo nella genesi e ancora pressoché sconosciuto, nonostante recenti studi specialisitici ne abbiano messo in luce, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’altissima qualità poetica e musicale.

La realizzazione di una nuova stampa del testo letterario del Galeotus, resa possibile dall’instancabile attività organizzativa e promotrice del M° Giuseppe Fagnocchi e dall’entusiastica adesione dell’Editore Vittorio Lega, è motivata da molteplici evidenze che gradualmente stanno emergendo: anzitutto per l’importanza che riveste nell’opera di Caffarelli, tenuto debitamente conto del fatto che esso è il culmine della sua attività filosofica e musicale e che fu steso, nella prima e originaria versione completa, esattamente un secolo fa (1913), poi perché tratta dei Manfredi, dei quali ricorrono i settecento anni dall’inizio della Signoria (1313)1, infine – last but not least – perché proprio in questi giorni stanno andando in porto due edizioni di rappresentazione teatrale grazie alla collaborazione di Luigi Mazzoni: esse saranno proposte, sempre a cura del medesimo Regista, l’una, in forma ridotta, nel contesto del laboratorio teatrale che si tiene presso la scuola media “Strocchi”, l’altra, più ampia, attraverso la partecipazione della Filodrammatica Berton. Si tratta di segnali molto positivi e di attività altamente significative, che non ci nascondono, però, che ad oggi non è ancora stata possibile una esecuzione completa dell’opera, anche nella sua veste musicale.

Il mio primo ricordo relativo all’esistenza di un grande lavoro scenico-musicale chiamato Galeotus risale alla mia infanzia e, nella fattispecie, a un colloquio con la mia nonna Cosetta, che aveva conosciuto il Maestro e ne serbava un vivido ricordo. Caffarelli era infatti solito frequentare il caffè di proprietà del mio bisnonno Amedeo Collina, con cui aveva un rapporto d’amicizia, in quella che allora si chiamava Piazza Fratti, appena fuori porta Montanara, all’inizio dello Stradone, quotidianamente percorso dal Compositore in lunghe passeggiate: di esso una traversa, oggi, è stata dedicata alla sua memoria. Mia nonna, prodiga di preziosi ricordi di storia faentina, mi parlava spesso di Caffarelli; ma quella volta, mi è rimasta indelebilmente impressa nella memoria. Mi raccontò che un giorno, nel dopoguerra, la radio all’interno del caffè trasmetteva il duetto O soave fanciulla dal Primo Atto della Bohème. Caffarelli era presente. Lodò l’esecuzione (era Toscanini), ma criticò aspramente la musica di Puccini: «sentimentalismo lacrimevole per tubercolotici: sfibra l’anima, non la esalta, come fa invece la musica di Wagner». E raccomandò a mia nonna l’ascolto del Lohengrin e del Parsifal; opere del resto, soprattutto la prima, che lei conosceva già benissimo: tuttavia, per buon gusto, non ardì approfondire l’argomento col Maestro. L’episodio finiva qui. Ne è nata, da parte mia, una lettura comparata del testo del Galeotus e dei libretti wagneriani nella versione (1947-49), con testo a fronte, di Guido Manacorda, allora imprescindibile strumento di conoscenza per i wagneriani, un opus magnum ancor oggi molto considerato, grazie anche al puntuale e ponderoso commento, che getta luce per giunta su numerosi aspetti musicali. Per mia fortuna, mio padre conservava nella sua biblioteca questa epocale versione e così, durante gli anni della mia adolescenza, quando leggevo Wagner, pensavo sempre a Cafferelli, a quell’episodio, e chiedevo a mia nonna di raccontarmelo ancora. Finalmente l’anno scorso, contattato dal M° Giuseppe Fagnocchi, ho avuto modo di proporgli una mia ricerca in questo campo, lo svolgimento della quale ha confermato pienamente l’intuizione d’entrata, che, cioè, il testo del Galeotus presentasse numerosi e puntuali riecheggiamenti wagneriani, soprattutto dal Parsifal, che, come era già stato notato da altri, era tra le partiture preferite dal Nostro. Proporrò in altra sede questo mio lavoro, che nel frattempo si è arricchito di riferimenti, invero indispensabili, a Rudolf Steiner e all’antroposofia, nonché al fondamentale trittico saggistico caffarelliano L’Arte nel Mondo Spirituale2, di cui mi aveva parlato entusiasticamente mia sorella, la pianista Tullia Melandri, interprete di importanti pagine del Maestro e autrice del corposo studio Un compositore italiano del 1880: Lamberto Caffarelli3. Anche a lei, che ora vive in Olanda, didatta e concertista di fortepiano, sento ora di dover rivolgere il più affettuoso ringraziamento, per avermi orientato e incoraggiato nella complessa materia.

Ma la musica del Galeotus per ora esiste solo in potenza e non in atto. Infatti, come ci ricorda Igor Stravinskij4, «della musica è importante distinguere due momenti o piuttosto due modi di essere: la musica in potenza e la musica in atto. Scritta sulla carta o ricordata con la memoria, essa preesiste alla sua esecuzione e si differenzia in questo da tutte le altre arti, e si distingue inoltre […] per le modalità che presiedono alla sua percezione». L’entità musicale presenta quindi questa strana singolarità di assumere due aspetti, di «esistere, di volta in volta e distintamente, sotto due forme, separate dal silenzio del nulla»5. Questa particolare natura della musica ne determina le modalità di esistenza e le risonanze d’ordine sociale, presupponendo due tipi di musicisti: il creatore e l’esecutore. Il Galeotus appartiene, però, anche all’arte del teatro. Essa comprende, come nel nostro caso (a prescindere dalla musica), la composizione di un testo e la sua traduzione verbale e visiva, ponendo un problema analogo, se non simile, a quello dell’esecuzione musicale; ma è necessaria una distinzione: il teatro non musicale, il teatro puro insomma, si rivolge al nostro intelletto appellandosi allo stesso tempo alla vista e all’udito. È sperimentalmente noto che, fra tutti i nostri sensi, la vista è quello più legato all’intelletto, e l’udito è sollecitato nella fattispecie dal linguaggio articolato, veicolo di immagini e di concetti. In tal modo, il lettore di un’opera drammatica qual è il testo letterario del Galeotus, che qui si ripropone, può immaginare quella che sarà la rappresentazione più facilmente di quanto il competente lettore di uno spartito non possa immaginare il risultato di una esecuzione, a prescindere dal fatto che si tratti di musica da camera, sinfonica o teatrale. Nel caso della musica teatrale, per esempio del Parsifal di Wagner o dello stesso Galeotus di Caffarelli, l’interazione tra i vari elementi raggiunge il massimo della complessità. E questo spiega facilmente come i lettori di spartiti di orchestra siano meno numerosi rispetto ai lettori di libri di musica. Procediamo dunque per gradi partendo dal testo letterario dell’opera in questione, per spiegare la genesi del quale, ci occorre fornire al lettore un sintetico ragguaglio circa il contesto storico in cui esso vide la luce.......................
 
*CONTINUA in Laboratorio ciberculturale 7  Paolo Melandri    B