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Papini e Firenze futurista , rottamatori ante litteram

 

Papini, rottamatore ante litteram

         
All’inizio del Novecento erano amici, e giovani entrambi. Benedetto Croce poco più che trentenne e già avviato a egemonizzare il primo cinquantennio del secolo. Giovanni Papini di quindici anni più giovane, e già astro nel firmamento delle riviste fiorentine: che tentarono di cambiare l’Italia prima della grande guerra 1914-18. Poi, dopo quasi un decennio di buon rapporto, fondato su un iniziale equivoco dei rottamatori d’Arno sul repulisti che Croce veniva facendo del nostro provincialismo culturale, fu sciolto dal filosofo, che forse alla nascita di quell’equivoco aveva collaborato, con la sua critica della democrazia.
Atto ufficiale della separazione – scrive Giuseppe Galasso, recensendo sul Corriere della Sera il Carteggio 1902-1914. pubblicato dalle Edizioni di storia e letteratura a cura di Maria Panetta e commentato da Gennaro Sasso – fu la lettera che Croce, ormai oltre i 40, scrisse al più giovane amico il 30 dicembre 1911: «Caro Papini, io vi conosco da molti anni e vi ho sempre voluto bene». «Ma mi duole che non vi risolviate a smettere certe abitudini di letteratura à surprise, che non giovano alla serietà della cultura e del pensiero italiano. Abbastanza si è scherzato e giovineggiato. Ora bisogna che ciascuno faccia quel tanto di bene che le proprie reali attitudini gli consentono». Quelle attitudini erano radicalmente diverse. Il programma comune, diciamo così, era “svecchiare”. Ma si può svecchiare con un’energica cura del malato o ammazzandolo. La strada dell’idealismo porta a fare piazza pulita delle mediocrità positivistiche, nazionalistiche, dannunziane, retoriche, estetizzanti.
L’altra strada, quella fiorentina, poi futurista, vuol distruggere perfino la lingua e l’arte italiana (Marinetti) e finisce con l’auspicare il «caldo bagno di sangue» (Papini): nuovo astro, meno luminoso di Prezzolini, sulla via affollata del “Distruttore” (il Nietzsche, nella banalizzazione del Superuomo fatta da D’Annunzio). Croce vedeva, alla fine del primo decennio del nuovo secolo, che dopo il regicidio di Monza l’Italia aveva compiuto e stava compiendo una svolta, quella di Giolitti, che rovesciava la conservazione gretta e reazionaria dei “governi delle sciabole”, e «puntava verso un ordinato progresso: nel quale un ruolo importante spetta alle organizzazioni operaie e ambisce di realizzare il loro inserimento nello stato liberale, conciliando le classi con un blocco politico tra socialisti non massimalisti e liberali non conservatori ». Sto citando a memoria da una pagina di Salvatore Guglielmino, l’ottimo divulgatore siciliano, che pochi giorni prima di morire di cancro, Milano dicembre 1994, venne alla Voce, in via Dante, e mi regalò l’ultima copia con dedica della sua Guida al Novecento: opera di mille pagine, sulla quale avevano e ancora avrebbero studiato per vent’anni i liceali di tutta Italia, compresi i miei figli. Si ricorda, in quell’opera, che non solo ai futuristi ma anche ai fiorentini come i vociani, i nazionalisti del Regno, il Leonardo di Papini, i dannunziani di Hermes, i trono-altare di Borgese, Il Regno di Corradini (poi fondatore dell’Idea Nazionale), l’Italia che cambiava giolittianamente non piaceva. Era un cambiamento democratico: mentre da Prezzolini a Papini la democrazia era vista come la peste del nuovo secolo. Per questo Papini s’era legato a Croce, confondendo gli iniziali sentimenti antidemocratici del filosofo col suo/ loro imperialismo, nazionalismo, estetismo super-umano, futurismo.
La delusione si trasformò, non certo in Prezzolini, ma in Papini, in stizzosa ostilità per Croce, dopo che il filosofo ebbe messo in chiaro le cose. Proprio in questi giorni, grazie a un dono del collega Mario Lavia di molte opere papiniane, conservate nella biblioteca dei suoi genitori fino alla recente scomparsa della mamma, ho potuto leggere o, a volte, rileggere pagine dell’alluvionale rottamatore, che m’erano sfuggite in età giovanile o successiva: quando quella rottamazione stimolava una certa curiosità in noi giovani onnivori, nonostante i nostri amori giolittiani e crociani.... C
 
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