Fiamma Nirenstein contesta la sindrome di Stoccolma dell'Occidente verso il Primitivismo/terrorismo islamico...

 
Il Giornale, 15 settembre 2012

Le ambasciate americane bruciano in tutto il Medio Oriente e oltre. L’islam jihadista morde la mano che l’ha aiutato nelle rivo­luzioni. È ridicolo sposare la tesi che la rab­bia omicida di massa sia colpa di un ignorabile filmet­to su Maometto sul web. Non si tratta mai solo di vi­gnette, film, affermazioni: l’analisi di quanto sia cara la figura di Maometto all’islam potrebbe essere com­parata a quanto sia cara la figura di Gesù a un cristia­no. Ma solo dei cristiani pazzi si avventurerebbero, di fronte a eventuali offese, in omicidi e incendi. La tv salafita egiziana ha acceso il fuoco mostrando la mi­sera performance in internet dopo un anno che il film esisteva: un gesto di provocazione.E la folla ave­va armi anche pesanti quando si è avventata sull’am­basciata. Non proprio un gesto spontaneo, dunque. È autolesionistico che Hillary Clinton invece di tuonare, come compete a un ministro degli Esteri per la perdita del suo ambasciatore, si sia sbrigata a dichiarare «ripugnante» lo stupido filmetto, come se ciò comportasse conseguenze violente.

È pesante che Obama, il difensore designato delle libertà, non abbia colto l’occasione per spiegare che da noi, in Occidente, la libertà di pensiero si estende a tutti i temi. Poteva fare l’esempio di quando la Corte Supre­ma americana, già nel 1940, assolse un certo Newton Cantwell e i suoi due figli, accusati per la diffusione di materiali anticattolici che avevano provocato reazioni violente (lori cor­da Seth Frantzman sul Jerusalem Post ).

Tanti casi di liceità delle opinioni estreme si sono susseguiti nella no­stra storia. Certo non ci schiererem­mo mai con chi bruciava gli eretici per motivi di ordine pubblico. Ci si può scusare e poi ribadire con terri­bile grandezza che gli ambasciatori sono sacri, sacro è il diritto di opinio­ne, che guai a chi li tocca, e che nep­pure il­più idiota e ignoto degli esibi­zionisti da noi verrà tacitato. La veri­tà è che vogliamo, senza speranza, essere accettati dagli islamici. Accet­tiamo qualsiasi equivoco sperando che sorgerà per loro la stella della de­mocrazia, e tutto andrà bene. George Bush pensava che rimuo­ve­ndo Saddam Hussein l’Irak potes­se diventare un’occasione per sciiti e sunniti di sedersi insieme al ban­chetto della libertà, e ne ha ricavato biasimo mondiale, mentre i morti tribali, religiosi, etnici seguitano a contarsi a migliaia. Obama avrà la stessa sorte. Ha voluto essere l’ap­prendista stregone delle rivoluzioni arabe, come Carter fu quello della ri­voluzione khomeinista: la sua ac­quiescenza verso l’islam gli ha rega­lato un’immagine di debolezza in un mondo in cui essa viene conside­rata sino­nimo di stupidaggine e pro­messa di vittoria vicina per l’islami­smo. Kartoum, Tunisi, Gerusa­lemme, il Libano, oltre a Bengasi e al Cairo sono preda di manifestazioni di odio che sono già costate la vita a svariate persone. L’assassinio di Chris Stevens sarebbe dovuto diven­tare l’occasione di un altolà decisi­vo. L’ambasciatore è una figura isti­tuzionalmente intoccabile, eppure Stevens era il meno tutelato, ma il più coraggioso fra i cinquantenni americani alti e biondi che la matti­na fanno jogging (e lui lo faceva), si­curo che gli bastassero un paio di persone ai fianchi nel fiato afoso del MedioOriente.

Ma come poteva Ste­vens ig­norare che la Libia è una cal­daia ribollente d’odio? È impossibi­le che non sapesse che nel novem­bre 2011, quando cadde il regime, le forze ribelli issarono la bandiera di Al Qaida sulla Corte di Giustizia di Bengasi. Molte bande,che si chiami­no Al Qaida o quant’altro, le forma­zioni jihadiste di ogni tipo chiedono quella giustizia, la sharia. La loro scontentezza odierna è legata al fat­to che di jihadismo, oltre che di pa­ne, i nuovi governi non ne hanno da­to abbastanza; la colpa è sempre de­gli Usa e di Israele, l’odio è sempre volto all’Occidente. Non c’è in que­sto niente di personale, dunque niente che possa essere sanato, ed è assurdo non legare concettualmen­te le nuove rivoluzioni all’ideologia che sembra dominarle, lo jihadi­smo. È la promessa dell’islam di pie­gare il mondo alla sottomissione. È onestamente ridicolo il tentativo specialistico di descrivere Al Qaida come un’organizzazione in decli­no. Non importa se Al Qaida è sban­data, divisa, impoverita. È come quando si dice che da Gaza non è sta­to Hamas a sparare i missili, e si sa che alla fine i piccoli gruppi non si muovono senza il suo permesso. Gli attacchi sono la grande voce dello jihadismo, in cui Al Qaida ha rino­mato spazio. La spontanea suddivi­sione in rami autonomi non ne fa in alcun modo un’organizzazione de­bole. Si è fatta un variegato partito combattente dalla Libia alla Siria al Sinai.

Ma Obama non vuole riconosce­re che esista un pericolo jihadista, l’America ha preferito l’idea che si tratti di un evento minoritario frutto del fanatismo e colpa di un idiota che posta un filmino, e quindi che gli assassini abbiano qualche ragione. Così si creano nuove rivendicazio­ni, e nuove provocazioni: lo sceicco Yusuf Al Qaradawi, mentre il Papa parte per il Libano, gli chiede in un messaggio ironico e aggressivo le scuse per quel che disse nel 2006 sul­l’islam politico. Fomenta l’odio con­tro i cristiani e dice che la colpa è tut­ta dei cristiani stessi. Stile america­no.

 

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