Terremoto, cosa c’è nel sottosuolo di Ferrara
Serve capire su cosa poggiano le fondamenta grandi aree strategiche come polo chimico e ospedale
Sala stracolma e persone in piedi fuori dalla porta a Palazzo Bonaccossi per sentire la spiegazione del terremoto offerta dai docenti del nostro ateneo (leggi). Un’attesa premiata dall’ottima qualità degli interventi e dalla capacità degli scienziati di divulgare a non esperti concetti non proprio alla portata di tutti. Peccato che la tirannia del tempo abbia tagliato la possibilità di porre le domande che le stesse relazioni hanno suscitato e che le persone hanno continuato a farsi all’uscita.
Che succede ora? Il terremoto è finito? E nella nostra città? Questa è la prima domanda. Seguendo il filo logico del dati forniti, si è capito chiaramente – in particolare dalla relazione di Riccardo Caputo – che sotto Ferrara c’è una faglia specifica, che non è né quella che ha provocato il sisma del 20 maggio né quella responsabile del terremoto successivo del 29. Sono faglie collegate, che hanno la stessa origine e si comportano nello stesso modo, ma non sono un’unica linea. Se questo è una fortuna, perché – come ha spiegato Caputo – “una faglia “corta” evita i terremoti di magnitudo superiore a sei, è altrettanto vero che la faglia sotto Ferrara non si è attivata, come hanno fatto invece le altre due a poco tempo di distanza l’una dall’altra”.
Secondo Giovanni Santarato, “sembra che il fenomeno stia diminuendo, e che un quantitativo di energia si stia liberando con minore intensità”. Ma è anche certo che “quelli avvenuti sono due sismi distinti, e che il primo ha, almeno in parte, contribuito a innescare il secondo“. Dunque: non potrebbe ancora accadere qualcosa di simile anche per la faglia di Ferrara rimasta fino ad ora inattiva?
Non era lo stesso meccanismo su cui si basava – pur sbagliando tempi di previsione e modalità di comunicazione – il comunicato della Commissione grandi rischi che tante polemiche ha sollevato? (vai all’articolo).
Certamente, ci ha confermato alla fine dell’incontro Massimo Coltorti, membro della Commissione grandi rischi, “il terremoto non è prevedibile e i tempi geologici non si misurano in giorni o mesi, ma è vero che la faglia di Ferrara si trova fra le due a Ovest che si sono già attivate alla fine di maggio e quella a Est, nel ravennate, responsabile del terremoto del 6 giugno, e che tutte fanno parte di una stessa struttura geologica”.
La seconda domanda sorge da un elemento che Santarato ha chiaramente evidenziato, spazzando via l’illusione, assai diffusa, che gli effetti di un terremoto a Ferrara siano “attutiti” dal fatto che ci troviamo su una specie di morbido cuscino costituito dai depositi alluvionali del Po, in grado di smorzare l’onda sismica. “Al contrario – ha spiegato il docente del nostro ateneo -. terreni di questo tipi producono un effetto di “amplificazione” dell’onda sismica (effetto di sito): “come una molla un po’ lasca”, che appena riceve una spinta si mette a vibrare con grande ampiezza. Molti edifici della nostra città sono costruiti su terreni di questo tipo”.
Dunque, cosa succederebbe agli edifici in caso di terremoto che colpisse direttamente la città? Quali zone subirebbero gli effetti di sito (amplificazione e liquefazione – leggi) Esistono mappe sufficientemente accurate e dettagliate?
L’intervento di Giovanni Stefani ha fornito un quadro chiaro dei problemi in cui si collocano queste domande. “La vita e la morte – ha affermato Stefani – possono dipendere dal manifestarsi o meno di questi effetti di sito, da come gli edifici sono stati costruiti e moltissimo dalla loro manutenzione, che spesso è assai carente. Molte informazioni sono già state raccolte, ma molto resta ancora da fare per sapere dove il terremoto è potenzialmente più pericoloso”.
“A Ferrara – ha aggiunto Stefani -, sono state effettuate 4 o 5 mila prove penetrometriche (analisi del suolo con una sonda). Sono state fatte in varie occasioni e da diversi soggetti. I risultati sono sparsi in vari istituti e studi professionali e si sta cercando di inserirli in unico data base. Non consentirà di prevedere il terremoto, ma di capire cosa potrebbe succedere alle strutture“. È da questi studi che i cittadini potranno sapere, con la precisione scientifica su cui si fonda la sicurezza, “cosa c’è sotto” a grandi aree strategiche come il polo chimico e l’ospedale?
“Altrettanto fondamentale – prosegue Stefani -, per chi abita entro le mura cittadine, è sapere dove sono le antiche fogne per la micro statica e la solidità delle fondazioni, conoscenze che è possibile reperire da documenti storici. E chi deve intervenire sugli edifici come può fare a reperire queste informazioni? A chi deve rivolgersi?.
DA ESTENSE COM