Siamo nel 2020 e le masse sono sempre più assetate di intrattenimento spettacolare e sanguinoso, come abbiamo visto nei vari Rollerball o Death Race. Questa tendenza ha decretato la fine del pugilato, perché non abbastanza cruento. Così il puglie Charlie ha dovuto abbandonare lo sport e si è messo nel business dei combattimenti fra robot, nel quali giganteschi ammassi di metallo, sempre più sofisticati tecnologicamente, si scambiano mazzate devastanti, strappandosi gli arti, sfondandosi le viscere e fracassandosi le teste, mentre olio motore simile al sangue si spande copiosamente.
Charlie è un uomo perduto, un fallito vinto dalla vita, che trascina stancamente i suoi giorni fra misere arene di provincia, con i suoi pupazzi meccanici sempre più arrugginiti e scalcagnati. È un ubriacone solitario, con troppi debiti di gioco per i quali viene regolarmente pestato, incapace di apprezzare l’amore della bella e intelligente Bailey (Evangeline Lilly), meccanico di robots. Si ritrova però a doversi occupare del mai frequentato figlioletto undicenne Max rimasto orfano e malvolentieri parte con lui per un giro di combattimenti.
Durante il viaggio Max trova in una discarica un vecchio robot da allenamento, Atom, e lo rimette a nuovo. Grazie a quell’antiquato modello, obsoleto tecnicamente e di piccole dimensioni, rispetto ai giganti mostruosi e super accessoriati con una tecnologia da videogame, comincia il riavvicinamento fra i due e la redenzione di Charlie come uomo e come padre. Un uomo in cerca di riscatto, un ragazzino in cerca del padre, un robot che forse ha un cuore sono gli elementi su cui si basa una vicenda sentimentale eppure d’azione, un aggiornamento “futurista” sul tema dei contest di arti marziali, grazie alle scene dei combattimenti realizzate splendidamente, degne dei Transformers, usando la motion capture su pugili reali.
Real Steel, prodotto da
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