lunedì 21 novembre 2011
“Il gioco dell’oca” di Barbara Cannetti per WINE ON THE ROAD
Barbara Cannetti dedica al concorso letterario 2011 di Villa Petriolo “Wine on te road” il suo racconto “Il gioco dell’oca”. Buona lettura!
Barbara è nata a Ferrara. Dopo la maturità classica si è laureata in economia e commercio nell’ateneo di Bologna. Nel 2009 ha pubblicato “Sedici milioni di colori”, raccolta di prose liriche. Partecipa a concorsi letterari solo dal 2010, ma ha già ottenuto diversi primi premi e piazzamenti, sia in prosa che in poesia. Scrive articoli di carattere socio-culturale su riviste telematiche e siti internet (Superando, Lettere Matte, L’Asino Rosso, MenteLocale...).
Racconto “Il gioco dell’oca” di Barbara Cannetti
Gino varcò il cancello della certosa di Ferrara facendosi strada tra una strana mistura di sole, umidità e caldo afoso che inzuppava ogni cosa e liberava nell’aria un fiato di nebbia.
“Tempo ideale per entrare in un cimitero”, si disse tenendo una mano nascosta nella giacca e l’altra sfoderata in un bel paio di corna, a contrastar le visioni apocalittiche che la sua mente mandava in onda. S’arrestò di fronte ad un cumulo di terra smossa di fresco ed attaccò a parlare.
-Ciao Gigi, scusa il ritardo, ma come ben sai odio ospedali e funerali. Eppure, sapendoti qui solo, inondato da piagnistei, non ho resistito. Mi sono detto che ad un tipo passionale come te a cui piaceva tuffarsi in un bel bicchiere di rosso ed inebriarsi del suo aroma, non può far certo piacere ritrovarsi fradicio di nebbia e lacrime... E così, eccomi qui, pronto a rimediare. Ho portato una bottiglia per far baldoria, come ai vecchi tempi ma ho dovuto nasconderla sotto la giacca come un ubriacone perché all’entrata ho incontrato una vecchietta, una di quelle brave donne che maneggiano solo acqua santa, o come l’avresti definita tu “‘na bruta vecia” che mi ha guardato in malo modo. Le ho fatto uno dei nostri sorrisi da goliardi, ma il tempo passa per tutti ed io, anche se rispetto a te posso considerarmi in ottima forma, non ho più la faccia aperta e gioviale di un ventenne. Ma probabilmente non avrebbe funzionato lo stesso perché, sempre più spesso, la gente giudica male i ragazzi. Molti li considerano degli scavezzacollo, altri li dipingono come dei maleducati, degli sgarbati, degli scansafatiche. Io, invece, leggo sui loro volti solo quella voglia di divertirsi che spesso si mescola ad una sorta di spaesamento, la stessa che apparteneva anche a noi, alla loro età. Tutto questo, ovviamente, non solo non dona, ma finisce addirittura per conferire ora un’aria strafottente, ora un’espressione piuttosto tonta. Noi però avevamo la fortuna di sapere qual era il nostro posto nella vita perché tutto allora era più semplice, chiaro di oggi. Dopo una festa, ci bastava togliere il mantello e la feluca , passare una mano tra i capelli per sistemarli, gettare un po’ d’acqua fresca sul viso per tornare ad indossare l’immagine dei bravi ragazzi. Ma quante ne abbiamo combinate! Ricordi quando decidemmo di fare il giro delle cantine del Veneto? Preparammo un questionario e tu, dopo aver inforcato quegli occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia che ti conferivano un’aria da gran intellettuale, ci presentasti ai gestori delle varie cantine come un gruppo di studiosi impegnati in un importante progetto di valorizzazione della qualità dei vini locali. Ogni volta ti presentavi dicendo che, tra tutte le aziende del luogo, era stata prescelta proprio quella, perché dalle analisi effettuate era risultata la migliore. Poi affermavi che scopo dello studio era far conoscere e rendere famosa la cantina. Eri così convincente che i contadini oltre a rilasciarci interviste, ci offrivano degustazioni e bottiglie ricordo. A volte i souvenir erano talmente abbondanti da permetterci di brindare alla salute dei nostri benefattori per tutta la settimana, in attesa di poter compiere un altro tour alla scoperta di una nuova unica, inimitabile cantina. Tra tutti, il più sfacciato era il Bepi che, consapevole del proprio fascino, ammaliava le signore condendo il tutto con improbabili storie sui processi di vinificazione nell’antichità. L’unico che non si unì mai al gruppo in quella originale attività di marketing territoriale il cui unico fine era portare acqua, anzi vino al nostro mulino, fu Livio. Si arrabbiò tanto per uno scherzo del Bepi che ruppe il nostro patto d’amicizia senza rendersi conto che in tal modo, invece di sdrammatizzarla, finiva con l’accentuare l’effetto della burla. L’ho rivisto un mese fa in giro per la città e ti assicuro che è sempre lo stesso sbruffone di un tempo, ancora più convinto che i soldi possano comprare ogni cosa e che la qualità di un vino sia sempre strettamente correlata al prezzo, nonché al lusso dell’ambiente in cui lo si degusta. Io invece non scorderò mai il giorno in cui egli elogiò con aria da consumato sommelier un bianco vinello di scarsa qualità e per giunta annacquato che il Bepi, complice un cameriere, gli fece travasare e servire in una bottiglia la cui etichetta menzionava un rosso, sanguigno Re Fosco!...
CONTINUA DIVINANDO