da Il Giornale
Sicuramente hanno sbagliato qualcosa i sindacati alla Fiat. È come se la Cgil e, al suo interno, la Fiom, che rappresentano l’ala dura delle organizzazioni dei lavoratori, si fossero infilate in un tunnel senza uscita. E forse, inconfessabilmente, qualche dirigente ne è consapevole. Viceversa diventa difficile comprendere il contrasto tra le proteste e gli scioperi di questi giorni in Italia, e il successo che l’ad Marchionne sta riscuotendo urbi et orbi con il suo piano per la Fiat. Il Financial Times ieri parlava di «oracolo dell’industria dell’auto». Mentre qui da noi persino la Repubblica, quotidiano che non ha certo una tradizione «padronale» alle spalle, simpatizzava con gli operai della Chrysler che vedono in Marchionne il salvatore della loro esistenza. Invece, in questa giornata trionfale in cui il titolo galoppava in Borsa, dalla segreteria nazionale Cgil è arrivata una nota che parla di «ritorsioni nei confronti dei lavoratori». Il riferimento è all’ipotesi di spostare le produzioni di Mirafiori in Serbia.
Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, è entrato sulla questione evocando lo smantellamento delle fabbriche torinesi come qualcosa di «sorprendente», quando il marchio stesso del gruppo è «Fabbrica Italiana Automobili Torino». Di certo l’idea che Fiat lasci Torino, e in definitiva l’Italia, è forte e solleva polveroni a destra come a sinistra. Ma è qui che bisogna fermarsi un momento a riflettere: di cosa stiamo parlando? Marchionne non ha mai voluto il trasloco della produzione. Il piano prevede un’altra cosa: lo scorporo dell’auto dal resto del gruppo, affinché il capitale di Fiat si possa aprire a nuovi investitori che immettano risorse fresche. Un’eventualità che potrebbe vedere gli Agnelli andare in minoranza. Ma anche se dovesse succedere, Fiat resterebbe comunque un’azienda italiana, radicata nel territorio. Una multinazionale basata comunque in Italia.
Ma se invece si dovessero smantellare dopo Termini, anche Pomigliano e Mirafiori, allora sì che le cose cambierebbero. Allora sì che la Fiat non potrebbe più dirsi italiana. Ma questa non è la scelta di Marchionne, che nel piano ha calcolato ben 20 miliardi di investimenti da qui al 2014 per la «Fabbrica Italia»
SEGUE
http://www.ilgiornale.it/interni/sono_sindacati_portare_allestero_fiat/23-07-2010/articolo-id=462742-page=0-comments=1
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