Perché mi sono dimesso da direttore scientifico della Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah
L’atto di rassegnare volontariamente le dimissioni da una carica si presenta, per definizione, tanto come ammissione di fallimento quanto come libera scelta di far prevalere la dignità della causa rispetto a una situazione giudicata non conforme ai compiti affidati all’istituzione in cui si opera. La scelta di dimettersi è, quindi, sia denuncia sia ammissione della propria incapacità di modificare la realtà in cui si opera.
Nella «Proposta storico-scientifica», ora allegata al bando internazionale di progettazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, si afferma che l’ingente impresa di costruzione del MEIS può aver successo solo se si attua una sinergia tra tre componenti: a) l’alta qualità del progetto architettonico; b) la solidità e l’originalità del progetto museale; c) l’organico inserimento del sito del futuro museo in una dimensione urbanistica. La realizzazione del museo esige quindi una collaborazione permanente tra la Fondazione MEIS e varie altre istituzioni, a iniziare dalla Direzione Regionale del MiBAC (stazione appaltante del bando di progettazione). Tutti i soggetti sono chiamati a cooperare per una causa comune. L’attuale linea di condotta del MEIS non si muove però in questa direzione. La Fondazione, a causa di una gestione «padronale» e «impaziente» del suo Presidente, si è infatti finora presentata soprattutto come soggetto che pretende di ricevere servigi da parte degli enti pubblici, quasi che il MEIS fosse l’unico punto di riferimento del futuro museo.
Da questa impostazione consegue che le attività volte a cooperare in modo paritetico con altri enti (anche non istituzionali, cfr. per es. il corso di aggiornamento organizzato in collaborazione con l’ISCO di Ferrara) sono state sottovalutate (o a volte addirittura ostacolate), mentre sono state esaltate alcune iniziative autoreferenziali del MEIS, specie quando ponevano al loro centro la figura del Presidente in base alla massima «le MEIS c’est moi». Sotto questa ottica è eloquente il confronto tra l’enorme sforzo (anche finanziario) esercitato dal MEIS per organizzare la «Festa del libro ebraico in Italia» e il blando – o addirittura nullo – impegno a tutt’oggi da esso riservato alla diffusione del bando di progettazione del museo. È peraltro evidente che il futuro del MEIS dipende, in modo determinante, dalla presenza di un progetto architettonico di livello internazionale.
La «Festa del Libro ebraico» è stata senza dubbio un successo superiore alle aspettative di molti (compreso il sottoscritto). Tuttavia non si può tacere – oltre la presenza di vaste zone d’ombra (cfr. l’intera sezione degli «incontri con l’autore») – il debole collegamento complessivo tra essa e il progetto museale. Né è secondario chiedersi se la Festa giustificasse l’esborso di 250.000 € di denaro pubblico (non è stata cercata alcuna sponsorizzazione).
La gestione «padronale» da parte del Presidente ha dato luogo a una serie di sistematici declassamenti di altri ruoli previsti nella Fondazione, ivi compreso quello del direttore scientifico. Inoltre nel modo di agire del Presidente si sono registrate ripetute scorrettezze nella sostanza e forse anche nella forma. Tra esse va registrato l’atto che mi ha indotto a rassegnare le dimissioni nel febbraio scorso (a norma di contratto 90 giorni prima della scadenza). Si è trattato della proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. In violazione a una esplicita clausola prevista dal contratto, non solo mi è stata negata la collaborazione di esperti in museologia e storia indispensabili per dettagliare il progetto museale, ma non è stata presa neppure in seria considerazione la bozza di progetto messa all’odg del CdA (palesemente non letta né dal Presidente, né da altri membri del CdA). La conclusione è semplice: non sono stato posto nelle condizioni di lavorare in modo conforme ai molti e impegnativi compiti affidati al direttore scientifico...
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