Ferrara Il sindaco sbatte la porta... del Museo della Shoah da Paolo Giardini

  Polemiche nuove e vecchie maniere

“Se il sindaco e il direttore generale non vanno d’accordo, non se ne va Tagliani, se ne va Finardi”.

Così il sindaco ha prospettato alla stampa la sua sbrigativa chiave di lettura della vicenda scaturita dall’uscita di Piero Stefani dal Meis sbattendo la porta.

Che questa sia una regola vigente a Ferrara è noto, confermata anni fa da un famoso disaccordo fra sindaco e direttore generale finito a quel modo, ma ha un difetto non lieve: se quello dei due che ha torto marcio è il più alto in grado si può esser certi che il futuro sarà guastato dagli errori della parte vincente.

E’ più che ragionevole che il sindaco non abbia potuto dirimere le divergenze di vedute fra Stefani e Calimani in una controversia resa manifesta a cose fatte, con posizioni divenute inconciliabili. Per questo motivo si può comprenderne l’insofferenza per la lettera aperta a lui indirizzata, firmata da 74 esponenti della Cultura, che solidarizzano con Stefani lamentando la carenza del Comune per la sua responsabilità nei confronti della città. Tuttavia c’è un altrettanto ragionevole dubbio che il contrasto fra le due personalità non sia banalmente confinabile ai soli problemi personali, perché anche senza essere intellettuali, o coltissimi come il prof. Stefani, è stato fin troppo evidente notare che qualcosa “traggiava” nell’affollatissima conferenza del 18 Aprile al Teatro Comunale coordinata dal Presidente Meis Calimani.

Ciò che “traggiava” troppo rumorosamente erano le parole conclusive del Calimani, che con molta determinazione chiedeva ai suoi prestigiosi ospiti idee su come impostare il futuro museo dell’ebraismo e della Shoah. Idee – precisava con enfasi – che non avrebbe smesso in futuro di sollecitare con insistenza. La calda umanità del Calimani faceva sicuramente presa sul pubblico. Almeno per quella parte di pubblico ignara che era già stato stilato il bando di concorso internazionale per il progetto del museo. Per chi invece sapeva del bando praticamente emesso, era una dichiarazione di guerra sulla validità dei contenuti del bando. Ma allora perché emetterlo?

Dov’è il doveroso rispetto per il tanto lavoro fatto e, soprattutto, per il tantissimo lavoro altrui richiesto dalla gara d’appalto ritenuta inutile? Dov’è la serietà e la professionalità?

A quella conferenza c’erano Tagliani, Maisto e altri amministratori, usciti sorridenti e soddisfatti. Giustamente sorridenti. Apprendendo che il bando in corso d’emissione valeva come i bond argentini, la constatazione di un episodio di responsabilità pubblica Conacompatibile (prima si mette in servizio l’ospedale lontano dalla città dopo averlo fatto e rifatto per vent’anni, poi forse si faranno strade, circonvallazione cittadina, metropolitane) è sempre una consolante rassicurazione.


Paolo Giardini

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