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IL MONDO DI PIERO JAHIER

"Da un umanitarismo 'senza nervi viene la confusione. Le idee forti nascono con le unghie....." Così si esprime Piero Jahier (1884-1966) con parole che riecheggiano l'aspro tono calvinista di questo intellettuale, scomparso poco più di mezzo secolo fa e di cui ci resta una grandissima originalità su cui ancora riflettere. Parole che sono, in realtà, il leit-motiv di un'intera cultura, quella del primo Novecento in cui intellettuali diversi polemizzano contro il positivismo prosaico ereditato dal XIX secolo e contro la sua incarnazione politica giolittiana. Si trattava di una polemica ambigua che poteva condurre ad un riformismo radicale o ad una rinascita religiosa quanto ad una scelta reazionaria, come dimostra l'interpretazione che ne dà la VOCE, a cui collaborano futuri carnefici come Mussolini e future vittime come Amendola, Salvemini e lo stesso Jahier. Nel suo forte muscoloso eclettismo, la rivista di Prezzolini ebbe in ogni caso il merito di tenere insieme critica sociale e critica culturale, proponendo una nuova letteratura e illuminando con una serie di servizi l'Italia meno conosciuta. In questo senso sono memorabili gli articoli di Jahier sui valdesi, che ne fanno un mentore dell'autobiografismo vociano. Siamo davanti ad uno scrittore religiosamente inquieto come Boine, e soprattutto come Rebora, con cui condivide l'ansia di annullarsi in una comunità; ma molte sono anche analogie con Slataper, che come lui rievoca con virile energia un'infanzia immersa nella natura, tutti autori che bruciarono le loro risorse e le loro vite in poco tempo, morendo in guerra o di malattia. Nella Grande Guerra, Jahier, volontario e volontaristico, aspira ad essere una cosa sola con i fanti abituati ai duri ritmi della trincea e prima ancora delle campagne da cui provengono socialmente in prevalenza. Presto, tuttavia, Jahier comprende che la sua sincera retorica spirituale e interclassista infastidisce gli agrari, che già guardano al fascismo. La sua polemica antimoderna, intanto, e la sua "andata" al popolo riflettono un equivoco abbastanza tipico. Jahier si ispira a Peguy e a Proudhom in una sorta di mito dell'autonomismo rurale, anticapitalista e artigiano, opponendo alla rigida meccanizzazione tedesca le nazioni povere, ma ancora pure: presupposti che fungono inevitabilmente da ideologia di copertura delle ingiustizie sociali e belliche. E l'altro volto dell'interventismo nobile e democratico che, proprio per il suo carattere fortemente etico, propose al popolo una ancor più convinta accettazione del massacro di quel conflitto: Atteggiamento che allo stesso Jahier parrà poi mistificazione, al punto da spingerlo ad una severa autocritica. Legato ai vociani più moralmente risentiti, in cui l'etica mira a divorare l'estetica, , più tardi si comporterà come un reduce della letteratura e la sua poesia sembrerà preghiera. La distruzione non è una lezione, dirà in seguito quasi come un manifesto del suo credo. Si muove secondo l'eredità calvinista e ad un tempo si misura con forme romanzate che evocano i tratti satirici di Frassineti e certe cadenze del futuro Fantozzi. Il mondo, per Jahier, è una colossale agenzia di assicurazioni, una considerazione che oggi meriterebbe molta attenzione.
Casalino Pierluigi

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