Pasolini e Berto: di Pierfranco Bruni

 


 

Pasolini non ha nulla da insegnare mentre Berto resta un maestro.

Rileggiamo la letteratura della speranza contro

le imposizioni del relativismo

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Giuseppe Berto non amava la poesia e la narrativa di Pier Paolo Pasolini. Berto ha posto sempre al centro il concetto di persona e mai di "masse". Sempre la centralità della ribellione cristiana e mai del relativismo della leggerezza calviniana.

Berto è stato uno degli scrittori scomodi per la cultura laicista, che ormai occupa lo scenario della scuola italiana, ma è stato uno scrittore vero nella coerenza e nel coraggio della verità.

 

Quale è uno dei motivi per i quali non si studia negli Istituti superiori? Perché non ha mai accettato il conformismo relativista che proviene dai figli di Gramsci e dal relativismo progressista cattolico.

In quali Licei oggi è possibile creare un confronto forte tra la non consistenza narrativa di Pasolini e la forza narrativa di un Berto che va da "La Gloria" ad "Anonimo veneziano" sino a Il male oscuro"?

Persino dal punto di vista cinematografico, tra Berto e Pasolini, il confronto non regge.

La eleganza di "Anonimo veneziano" può avere un incontro – confronto con il Pasolini di "Uccellacci uccellini"? La grandiosità de "Il male oscuro" con Giancarlo Giannini può avere un confronto con l'orribile "Salò e le 120 giornate di Sodoma" che vidi e rividi nei miei anni universitari in una Roma infuocata tra lottacontinuisti e avanguardieoperarie mentre le Brigate Rosee erano "compagni che sbagliavano"?

 

Mi si dirà che sono tessuti culturali completamente diversi.

Certo, sono diversi. Perché in Berto c'è arte, letteratura, stile. In Pasolini c'è una costante ricerca e una caduta nella morte dell'arte e dell'estetica.

Io ho scritto tanto su Pasolini, ho scritto un libro sulla sua poesia in "lingua" di Casarsa, ma è solo su questo che si può intavolare un discorso e sui fenomeni della cultura popolare (con i quali lo stesso Berto si confrontava), tutto il resto è un navigare tra specchi scivolosi di pioggia.

Il Pasolini regista e scrittore o poeta non esiste. Non perché non conosca o non abbia studiato i suoi scritti. Tanto ho studiato Pasolini da non considerarlo un artista. E nulla mi dice dal punto di vista di un'estetica della bellezza. Già perché c'è anche una "estetica" del brutto.

 

Esiste l'intellettuale, il "profeta" nel leggere alcuni dettagli della storia. Ma non mi si venga a dire che "Accattone" è arte o "Il Porcile" è un film con sceneggiatura. La letteratura ha anche un compito educativo. Spesso lo ripeteva Giuseppe Berto. Spesso lo ripetono gli scrittori che vivono l'anima della parola e non la ragione dei linguaggi.

 

Mi auguro che ormai sia stata ben compresa l'icone del Pasolini proposto a generazioni che dal Settanta in poi hanno attraversato gli istituti scolastici. Ci vuole preparazione comparata quando si parla di letteratura e non supponenza o provincialismo.

Giovanni Reale, il filosofo scomparso, proprio in questi giorni, sosteneva spesso che l'anima ha una sua lingua ed è questa che educa.

Non posso pensare che ancora si possa insistere sul Vangelo di Matteo di Pasolini davanti alla straordinarietà di Zeffirelli o all'aborto del San Paolo del Pasolini, che mal conosceva le Lettere, davanti alla grandezza della scrittura di un Jacomuzzi con il suo Cristo in Galilea.

 

È arrivato il tempo che il laicismo sia messo a nudo da una cultura che ha una filosofia della speranza. Ormai l'egemonia cattocomunista imperversa, ma ha una fragilità che suona il "piffero" della debolezza.

Tra un centenario della nascita come quello di Berto (nato nel 1914) e un ormai trentacinquesimo anniversario della morte di Pasolini  (morto nel 1975) non si possono creare delle tagliature culturali e religiose e mi auguro che la scuola italiana, nei suoi vari territori, sappia leggere la storia e la letteratura, la vita e la filosofia della vita.

 

Pasolini non ha nulla da insegnare. Berto è un maestro e resta un maestro. Mi auguro che il mondo cattolico, quello vero, sappia fare delle scelte e suggerire la grandiosità della cristianità letteraria che da Ungaretti giunge sino a Berto, da Papini sino a Diego Fabbri.

La pedagogia della speranza e della provvidenza non è in un testo come "Petrolio" di Pasolini, ma in "Processo a Gesù" di Diego Fabbri. E qui ci sarebbe da fare una distinzione tra il linguaggio brutto e la parola bella per legare gli scritti superbi di Maria Zambrano su Benedetto Croce e su Pirandello.

 

Lungo questa strada si sviluppano i miei incontri dedicati a Giuseppe Berto e alla letteratura della profezia, come testimonio nel mio "Giuseppe Berto. La necessità di raccontare", contro la cultura del relativismo.