Pierfranco Bruni, inedito. La Pasqua di Francesco Grisi

Francesco GrisiInedito. La Pasqua di Grisi a cura di Pierfranco Bruni

La Pasqua di Francesco Grisi nello sguardo del Cristo di Cutro in un suo racconto inedito
A cura di Pierfranco BruniCi sono inediti di Francesco  Grisi che raccontano luoghi e sentieri. Stagioni di vita e ricordi. Un immenso palcoscenico dove ogni recita è un pezzo di vita navigata tra le ombre e i fulmini delle esistenze.
Non c'e malinconia. Ci sono malinconie. Non c'è nostalgia o la nostalgia. Ci sono nostalgie che diventano incanto. Estasi. Meraviglia.
La Calabria è radici perché ha profondi richiami che segnano il tempo immenso del nostro viaggiare tra i luoghi e la geografia. Ma c'è la cristianità nella quale la scrittura di Francesco Grisi trova la sua anima la religiosità e l'eresia. Bisogna essere anche eretici per essere in Cristo. Ma in Grisi c'è l'accoglienza. Una religione che riga tutta la sua vita.
In questo racconto, come in altri versi inediti che formano un poemetto dal titolo: "Canto di primavera" (che proporrò nei prossimi giorni),  c'è la Pasqua e il ricordare un paese. Cutro. Il Cristo di Cutro.
Una Calabria nell'intreccio delle metafore che puntualizzano un raccontare che va oltre la storia.
In questo inedito c'è lo scrittore, tra l'altro, delle ironie e del giocare tra le parole e le nostalgie. Un immaginario che è la ricchezza di una letteratura in cui il senso della memoria ha una metafisica dell'anima e del tempo.
Pasqua a Cutro.
Francesco mi ha consegnato molte pagine inedite.
Io non smetto di leggerle e di dare una "collocazione" nel mio "archivio" a tutto ciò che culturalmente ho ereditato del suo testimoniarsi come uomo e come scrittore.
Questo scritto completamente inedito è qui che si racconta.
Grisi è morto quindici anni fa. Era la notte di Pasqua del 1999. Il 4 di aprile. Era nato il 9 maggio del 1927. Da genitori calabresi di Cutro che si trovavano a Vittorio Veneto.
Il suo viaggiare tra i ricordi e molti suoi scritti  sono intrecciati   tra i mari i monti e i briganti della Calabria. Della sua mia Calabria.

Pierfranco Bruni

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La Passione e il Cristo di Cutro
nella piazza del mare e della terra
della città degli scacchi e del pane

Di FRANCESCO GRISI

Il Venerdì di Passione. Poi. Il silenzio. Domenica ha la Resurrezione del Cristo che non giudica i nostri peccati. Non giudica. Ma vive in noi e noi in lui per una Redenzione che attraversa la Terra Promessa per parteciparvi il dolore il sacrificio la Croce e la vita dopo ogni morte.
Il Cristo di Cutro. Mi parla. Non con le parole. Il suo sguardo. I suoi occhi che sono nel tempo.
Ricordo la mia infanzia nella Calabria del mistero. Ma anche Cristo è un mistero. Quando l'amore termina il suo viaggio  si resta soli. In silenzio. Il canto di Cristo è il camminare tra la Croce e il Calvario.
Pilato non smetterà di asciugarsi le mani. Tiberio non ha ha avuto il coraggio di capire. Giuda per amore e soltanto per amore si era avvicinato per un bacio.  Sono tra le strade di Cutro e ascolto i Misteri. Il sepolcro della chiesa in piazza ha i colori della primavera tra i fiori della Calabria.
Nel tempo dei briganti le donne pregavano nel coro della processione e si sfidavano con il pianto della Donna Maria che cercava figlio figlio figlio... Ho scritto su Jacopone nella Todi delle mie pitture.
Ma quel figlio recitava tra i boschi della Sila e dell'Aspromonte. Poi. Toccavano la voce della notte di Pasqua.
La Calabria nei giorni della Passione e della Resurrezione è una liturgia. Il rito delle nenie. La Croce é un simbolo. Noi viviamo di simboli. Perché siamo simboli che chiedono alla storia di farsi affettuoso sentiero. Mai hanno lo spazio della Ragione. La Ragione cerca di spiegare. Ma la Croce non cerca la storia perché è rappresentazione.
Senza la rappresentazione Paolo non si sarebbe fermato nell'agorà. Poi. Areopago. Con le parole oranti. Seneca non ha mai chiesto a Paolo di capire. Agostino ha amato con inquietudine. I Padri del Deserto non ascoltano le parole. Devono vivere il Deserto e le solitudini.  Cutro ha girasoli nelle campagne.
Nei giorni che annunciano la pasqua. Garofani nei vasi sui balconi e sulla finestra della nonna i colombi. Poi non sono arrivati più. I colombi. La nonna è stata chiamata ed ha lasciato la casa e la finestra.
Il Cristo di Cutro è sempre redenzione. È tempo di misurare il lamento delle donne nel canto del Venerdi Santo nella Calabria che non conosce la noia.
Cutro è il pane della benedizioni. Sa essere ironia perché ha la pazienza dei giocatori di scacchi.
Scacco alla Regina. Scacco al Re. L'obelisco dialoga con la Chiesa. Nel ritmo delle ombre i vecchi hanno il bastone e si raccontano i ricordi. C'è il mare nel loro pensiero. Poi.
Gli alberi. La fiumara. Questo paese è la recita della vita. La Calabria recita la vita. Amico mio,
se cerchi di ricomporre il tempo lo perdi. Se lo perdi devi spendere una vita in nostalgie fino a quando non rischierai un perdono un rimpianto un rimorso. Cristo se non è Passione resta soltanto rito. Ora. La chiesa è affollata. Il canto e la preghiera. La terra che ha camminato mio padre prima di partire è terra di sabbia con acqua e sale. Una volta i cavalli scendevano al mare.
Pitagora dalla sua Colonna sugli scogli di roccia bucata dal onde canta i numeri. Uno più tre cinque più sette il triangolo e la tavola il triangolo ha tre angoli e tre piedi e tre punte e il vento di Crotone ha in un soffio tutta la Magna Grecia e Sibari custodisce la bellezza delle donne con Taranto che cammina tra le parole di Leonida.
Tutto questo ha un senso?
Si muore per un rimorso e per un rimpianto. Non si muore mai per un peccato. Non si spiegherebbe la Croce. Le strade di Cutro sono un cammino. Restano in cammino anche quando vivono tra le mie immagini nelle lontananze. È notte. Sono nella Chiesa affollata. Si aspettano le voci delle campane. Le campane sono sempre un richiamo. Hemingway. Ma io vedo la Luce nel tocco dei tocchi della campana.
Allora. La Chiesa è un groviglio  di canti. Il bianco lenzuolo. La scena ha bisogno del teatro. Siamo personaggi o Pirandello ci ha reso pubblico? Ma che importa? Cutro ci offre il pane. Si prega. Il sacerdote dice: Cristo è Risorto. La piazza è una stretta di mani. La piazza è negli abbracci.
Mi raggiunge il sindaco. Ha gli occhi commossi. Con me è  stato nella Laguna. Ha la barba e tra le labbra dei sorrisi e il bene della concordia. Ho inventato per il mio paese storie. Forse. Destini. Mi diceva Corrado Alvaro che ai calabresi bisogna parlare con il silenzio e ogni parola deve somigliare a un suono a un leggero canto...
Dunque. Resto a contare i quadrati sul tappeto della scacchiera. In piazza. Sono quadranti di un orologio. E le lancette contano i ricordi.
Domani parto. Cutro è il mare e la terra. Nei giorni di Pasqua il Cristo di Cutro mi parla con il silenzio. E con lo sguardo. Ha occhi intensi. Profondi. Mi porto la piazza di mare e di terra e gli occhi del Cristo in Croce.