In un’attualità ancora dominata da pervasive prospettive post-moderne, ispirate a considerazioni relativiste, soggettiviste ed intimiste, prive ormai di potenza di rottura in quanto metafore usurate, il riferimento al movimento artistico della “Nuova Oggettività” risulta indubbiamente destabilizzante. Tale spaesamento assurge tuttavia a una funzione propedeutica, necessaria ad un nuovo riposizionamento artistico.
É in questa prospettiva che si può analizzare l’interessante mostra “Heinrich Maria Davringhausen. La libertà dell’astrazione”, allestita presso il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona. L’esposizione, curata dalla direttrice del Museo Mara Folini ed aperta al pubblico dal 10 marzo al 9 giugno 2013, intende concentrare la propria attenzione su un artista poco noto al grande pubblico, meritevole tuttavia di una meditata riflessione. Heinrich Maria Davringhausen (Aquisgrana 1894 – Nizza 1970), uno dei pionieri del “Realismo magico” e della “Nuova Oggettività”, viene presentato attraverso 46 opere astratte, provenienti in gran parte da collezioni private italiane, raramente esposte al pubblico e spesso inedite. Tale raccolta comprende un’ampia ed eterogenea selezione di lavori, includenti da un lato i quadri realizzati durante il periodo dell’emigrazione, a partire dagli anni 1930 fino al 1945, dall’altro lato lavori più maturi, dal 1950 fino agli anni 1960, oltre ad alcune grafiche e una interessante serie di ardesie incise.
Il luogo scelto per l’esposizione non è casuale. Ascona è infatti rilevante nel percorso esistenziale dell’artista, che già nel 1914, attirato dagli ambienti anarchici, soggiorna al Monte Verità. É qui che Davringhausen viene a contatto con diverse personalità non indifferenti, come l’artista anarchico Georg Schrimpf, una tra le più importanti figure del futuro gruppo della “Neue Sachlichkeit” (Nuova Oggettività).
L’indirizzo artistico di Davringhausen, dapprima frutto dell’adesione all’espressionismo tedesco, si rivolge presto alle suggestioni del nuovo movimento artistico, condividendo con George Grosz e Otto Dix il rifiuto degli idoli della modernità e delle logiche devianti frutto dei valori borghesi e capitalistici.
La tensione verso una raffigurazione oggettiva della realtà diviene allora un’istanza radicale, tesa non a rappresentare naturalisticamente, come “imitazione di imitazione”, il mondo circostante, in quanto “res extensa” inerte e reificata, bensì a scavare le dinamiche apparenti e fugaci dei fenomeni per coglierne l’essenzialità, abbattendo il “velo di Maya” per restituire allo sguardo dello spettatore un’immagine scarna e sintetica, foriera appunto di una Nuova oggettività, finalmente capace di esprimere, con una lucidità descrittiva quasi glaciale, la concretezza di un paradigma. Davringhausen è particolarmente vicino ad una corrente del movimento, quella del “Realismo magico”, così denominato giacchè proteso a cogliere le zone di magico incanto della realtà quotidiana, per comprendere l’essenza dell’oggetto nella sfera artistica, al di là delle leggi fisiche dello spazio e del tempo, descrivendo in modo lucidamente attonito frange di esperienza insediate al limitare fra realtà e magia.
L’opera di Davringhausen non si arresta qui: in seguito ai viaggi in Spagna (1924-1925) e al soggiorno a Colonia (1928-1932) vive un’intesa ricezione di nuovi stimoli artistici, spostando il suo interesse per un’arte astratta, influenzata da elementi costruttivisti, cubisti, surrealisti e puristi. La fuga dalla Germania nazista (1933) porta l’artista a condurre numerosi viaggi per stabilirsi infine nel Sud della Francia, a Cagnes-sur-Mer, dove rimane per 23 anni, sino alla morte, avvenuta nel 1970 a Nizza. In questa fase di maturità è un ricercato astrattismo a dominare le tele del pittore.
La libertà dell’astrazione attraversa dunque il percorso esistenziale dell’artista nella sua interezza, senza tagliare completamente i legami con quella “Nuova Oggettività” che l’intellettuale italiano Julius Evola ebbe modo di valorizzare, affermando in proposito che “un classicismo nuovo, liberato dall’Io, fatto d’azione e della volontà di un “realismo sempre più reale” si annuncia di là dal mondo romantico.”
Luca Siniscalco
É in questa prospettiva che si può analizzare l’interessante mostra “Heinrich Maria Davringhausen. La libertà dell’astrazione”, allestita presso il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona. L’esposizione, curata dalla direttrice del Museo Mara Folini ed aperta al pubblico dal 10 marzo al 9 giugno 2013, intende concentrare la propria attenzione su un artista poco noto al grande pubblico, meritevole tuttavia di una meditata riflessione. Heinrich Maria Davringhausen (Aquisgrana 1894 – Nizza 1970), uno dei pionieri del “Realismo magico” e della “Nuova Oggettività”, viene presentato attraverso 46 opere astratte, provenienti in gran parte da collezioni private italiane, raramente esposte al pubblico e spesso inedite. Tale raccolta comprende un’ampia ed eterogenea selezione di lavori, includenti da un lato i quadri realizzati durante il periodo dell’emigrazione, a partire dagli anni 1930 fino al 1945, dall’altro lato lavori più maturi, dal 1950 fino agli anni 1960, oltre ad alcune grafiche e una interessante serie di ardesie incise.
Il luogo scelto per l’esposizione non è casuale. Ascona è infatti rilevante nel percorso esistenziale dell’artista, che già nel 1914, attirato dagli ambienti anarchici, soggiorna al Monte Verità. É qui che Davringhausen viene a contatto con diverse personalità non indifferenti, come l’artista anarchico Georg Schrimpf, una tra le più importanti figure del futuro gruppo della “Neue Sachlichkeit” (Nuova Oggettività).
L’indirizzo artistico di Davringhausen, dapprima frutto dell’adesione all’espressionismo tedesco, si rivolge presto alle suggestioni del nuovo movimento artistico, condividendo con George Grosz e Otto Dix il rifiuto degli idoli della modernità e delle logiche devianti frutto dei valori borghesi e capitalistici.
La tensione verso una raffigurazione oggettiva della realtà diviene allora un’istanza radicale, tesa non a rappresentare naturalisticamente, come “imitazione di imitazione”, il mondo circostante, in quanto “res extensa” inerte e reificata, bensì a scavare le dinamiche apparenti e fugaci dei fenomeni per coglierne l’essenzialità, abbattendo il “velo di Maya” per restituire allo sguardo dello spettatore un’immagine scarna e sintetica, foriera appunto di una Nuova oggettività, finalmente capace di esprimere, con una lucidità descrittiva quasi glaciale, la concretezza di un paradigma. Davringhausen è particolarmente vicino ad una corrente del movimento, quella del “Realismo magico”, così denominato giacchè proteso a cogliere le zone di magico incanto della realtà quotidiana, per comprendere l’essenza dell’oggetto nella sfera artistica, al di là delle leggi fisiche dello spazio e del tempo, descrivendo in modo lucidamente attonito frange di esperienza insediate al limitare fra realtà e magia.
L’opera di Davringhausen non si arresta qui: in seguito ai viaggi in Spagna (1924-1925) e al soggiorno a Colonia (1928-1932) vive un’intesa ricezione di nuovi stimoli artistici, spostando il suo interesse per un’arte astratta, influenzata da elementi costruttivisti, cubisti, surrealisti e puristi. La fuga dalla Germania nazista (1933) porta l’artista a condurre numerosi viaggi per stabilirsi infine nel Sud della Francia, a Cagnes-sur-Mer, dove rimane per 23 anni, sino alla morte, avvenuta nel 1970 a Nizza. In questa fase di maturità è un ricercato astrattismo a dominare le tele del pittore.
La libertà dell’astrazione attraversa dunque il percorso esistenziale dell’artista nella sua interezza, senza tagliare completamente i legami con quella “Nuova Oggettività” che l’intellettuale italiano Julius Evola ebbe modo di valorizzare, affermando in proposito che “un classicismo nuovo, liberato dall’Io, fatto d’azione e della volontà di un “realismo sempre più reale” si annuncia di là dal mondo romantico.”
Luca Siniscalco