Paolo Melandri: Thomas Mann e Goethe




Thomas Mann ebbe una vocazione artistica precoce ma ben dissimile da quella di Goethe. Tutti i più celebri racconti manniani, scritti e ambientati nella Belle Époque ebbero come modello ben più la triade Schopenhauer-Wagner-Nietzsche che non l’olimpico autore delle Affinità Elettive. Tuttavia la produzione saggistica manniana, a partire dalle monumentali Considerazioni di un Impolitico (1918) si misurò sempre più frequentemente con Goethe, visto di volta in volta come massimo esponente dell’età borghese o come ultimo rappresentante di un individualismo aristocratico di matrice umanistica e, più specificamente, petrarchesca.

Negli anni interbellici, fondamentali per l’evoluzione dell’ideologia manniana verso posizioni di moderata apertura alla cultura democratica, Mann realizza gradatamente una Unio Mystica con quello che considerava il suo precursore nel ruolo di interprete della coscienza civile germanica. Durante il suo lungo soggiorno statunitense, in particolare, Thomas Mann realizza Carlotta a Weimar, Romanzo che ha per protagonisti la Lotte del Werthere lo stesso Goethe. Egli riesce con apparente disinvoltura e leggerezza anche nella resa, all’altezza del Capitolo Settimo, di un monologo interiore in cui l’Olimpico, con olimpico spirito di alto dilettantesimo, discute tra sé e sé argomenti come la stratificazione delle nubi, la rifrazione della luce, gli errori di Newton, il progetto di una Cantata Biblica, la stesura dell’ultima parte del Faust, la pubblicazione del Viaggio in Italia e del Divano Occidentale-Orientale, il ricordo delle sofferenze provocate dal distacco dalle Affinità Elettive ormai compiute, il rapporto con Schiller e coi romantici, l’ammirazione per l’arte gotica e il culto per l’arte classica, ecc. Insomma Mann si trova improvvisamente dentro la mente di Goethe e riesce in un prodigio màntico, mai più riuscito a questi livelli nella letteratura di nessun paese.

Ciò presuppone una consuetudine quotidiana con Goethe, che vediamo adombrata in racconti come Disordine e dolore precoce e ben delineata in saggi come Goethe e Tolstoj (in Nobiltà dello Spirito). Nei Romanzi, a partire da Altezza Reale, ma soprattutto nella Montagna Incantata e nella splendida tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli vediamo sovente Mann alle prese con Goethe. Nella tetralogia, ad esempio, egli riprende come spunto iniziale un’idea espressa da Goethe in Poesia e verità. Siccome entrambi dichiarano di aver sentito fortemente, dall’infanzia, il fascino del racconto biblico delle storie di Giuseppe, bisogna supporre che Affinità Elettive ben più consistenti di quelle che troviamo fissate sulla carta abbiano unito, aldilà delle apparenze, i due scrittori fin dai loro esordi, ed anzi dai primi segni della loro vocazione artistica. Non si deve dunque considerare l’atteggiamento goethiano in Mann come un ritocco di facciata o una maschera, ma come un destino, che lo scrittore novecentesco ha poi saputo sviluppare con lentezza, costanza e sapienza.





Paolo Melandri

14 febbraio 2013