Andrea Bonora - Ferrara-Ginevra Mostra- intervista

 


Marisa Cino Intervista Andrea Bonora. 7-06.   per Asino Rosso.

 

Vado dove A. B. dipinge…

Io –Posso entrare?-

A. –(guardandomi da sopra gli occhiali e con un pennello intriso di carminio fra le dita)Si, si.-

A. è laconico... Lascia parlare i suoi quadri, i suoi colori… Le sue non-forme sono molto democratiche: hanno l’improbabile capacità di adattarsi allo stato d’animo di chi le osserva e di cambiare e di trasformarsi e di assumere significati sempre nuovi e di prendersi gioco del potente Cronos, dio del tempo, prolungando i momenti di contemplazione e accorciando quelli delle risposte razionali.

Eppure, A. sa cosa vuole realizzare; non è un istintivo.

Rimango affascinato dalle sue mani da camionista, ma così delicate con i pennelli…

Io - Non mi hai ancora raccontato della tua esperienza a Ginevra…-

A. –Cosa vuoi che dica…-

Io – Come ti è sembrato…non so…qualche impressione…-

A. – Il primo colpo è che non c’era niente da bere…ma proprio niente…e al bar un whisky costava 20 franchi…non potrei viverci…

Io – Capisco…trovi ispirazione nell’alcool?-

A. –No, no…ma mi piace bere; non perdere il controllo; anzi, quando mi accorgo di aver esagerato vado a dormire; mi piace il sapore, ma quando dipingo voglio essere pienamente cosciente di quello che faccio, perché ho già l’idea di ciò che voglio creare.-

Io –é un modo per comunicare con gli altri?-

A. – A parer mio, è un modo per comunicare con me stesso…se funziona anche per gli altri che guardano i miei quadri, tanto meglio…-

Io- Quindi nei tuoi quadri c’è consapevolezza…-

A.- Certamente, e forse era la peculiarità che più ci accumunava, a Ginevra-

Io – In che senso?-

A. –Che eravamo tutti consapevoli di cosa stavamo creando… e ne eravamo felici; anche la Duchessa Regina, che presiede l’associazione, era euforica. Si era realizzato, per usare un vecchio termine, un “Melting Pot” e le nostre opere abbattevano, effettivamente, le frontiere… le frontiere sono i limiti che abbiamo nella testa e i nostri quadri erano lì… per misurare i limiti di ognuno, le sue frontiere.

Io- Per dimostrare cosa? Che le frontiere non sono reali?

A. –No, no! Le frontiere esistono ma sono dovute all’incapacità di guardare ciò che non è dentro i nostri confini e che è estraneo a noi con gli occhi di chi vuole conoscere se stesso.

Io-  Stavolta, proprio, non riesco a capirti!-

A.- Mi spiego. Io cerco di trovare la connessione con me stesso, tramite i miei quadri; ma la posso trovare anche con quadri di altri o pezzi musicali e costruzioni o qualsiasi cosa; quella qualsiasi cosa, in quel momento, funziona come un’opera d’arte…se io non ha la capacità di trovare questa connessione, sono io, soggetto, che ho dei confini e  dei limiti. È solo guardando qualcosa fuori da se stessi che si trova la propria interiorità.

Io – Pensi che nel 2011 esistano ancora dei confini sociali che impediscano o favoriscano la diffusione della opere d’arte?-

A. –Non proprio; al Kempinsky ho parlato con l’ambasciatore italiano a Ginevra ed erano presenti parecchi consoli e c’erano molti personaggi noti della nobiltà è internazionale e tutti dialogavano con noi molto tranquillamente, sapendo che, un loro presunto acquisto, non avrebbe determinato il successo o l’insuccesso di nessuno, perché un’opera d’arte non si acquista. Stai aiutando solo l’artista, non puoi farla tua, puoi solo fruirne.

Penso, però, che nel mondo di oggi, governato dalla finanza, un’opera d’arte trovi il suo corrispettivo in denaro non in quanto opera d’arte, ma in quanto investimento, con tutte le oscillazioni della borsa…come il caffè o qualsiasi altro bene di consumo. Il concetto di opera d’arte viene, così, svilito. Alla biennale di Venezia, quest’anno, c’è anche la riproduzione della riproduzione del viso di Marylin di Andy Warhol…

Io – E allora?-

A: - Fammi dipingere adesso…-

Le mani forti di Andrea, ora che ha ripreso a dipingere con quel pennello di cui non aveva mai mollato la presa salda e dolce, mi sembrano quelle del Bagatto, colui che, nei tarocchi, metà mago e metà artigiano, con l’arte di chi “sa fare” e pochi elementi naturali, unisce la terra al cielo