SINTESI ESPRESSIVE ferraresi

 

Dopo una pausa non priva di suspense, sollevando lo sguardo e rivolgendosi ad uno dei presenti, Gianfra sussurrò: “Imbezìl. T’à saltà do pagin.”, condensando in poche sillabe le sue considerazioni sulla spiacevole novità.

Considerazioni che se il Gianfra, a quel tempo ammiratore del pensiero di Camus, avesse voluto mettere nero su bianco come spunto di una discussione, grosso modo sarebbero state (depurate da esistenzialismi camusiani che non saprei citare) le seguenti: contrariamente a quanto ritenuto, il suo Q.I. doveva essere prossimo allo zero, una limitazione che fortunatamente non gli impediva semplici attività motorie come aveva appena dimostrato correndo in avanti, consentendogli una vita apparentemente normale; comunque non era passato inosservato che il salto a piè pari di due pagine essenziali non era privo di conseguenze per la presente situazione, incontrovertibilmente modificata dal suo disgustoso operato.

In altro contesto il destinatario della comunicazione avrebbe obiettato, ma trovandosi in quel momento a calcare con altri la scena in una commedia sul palco del teatro parrocchiale, di fronte a una sala piena di pubblico, non poteva interloquire con Gianfra, il suggeritore, che dalla sua buca con il copione della commedia in mano aveva lanciato il messaggio. Ormai era chiaro che neppure un mago poteva improvvisare dialoghi riadattandoli al canovaccio stravolto dal pezzo mancante.

Assodato che il guasto era irreversibile e mancava pure una fogna in cui sprofondarsi in adeguata apoteosi catarchica, ci si accontentò di chiudere il sipario fra le sghignazzate del pubblico, comprese quelle, dolorosissime, delle ragazze, e ricominciare daccapo con la commedia, dopo aver ammonito con sapidi eufemismi l’imbezìl. Per fortuna non si ambiva alla nomination per l’Oscar alla miglior recitazione parrocchiale.

Con l’amico Gianfra si era poco più che adolescenti, il che vuol dire che l’episodio è di molti anni fa. Altri tempi, quando la sintetica efficacia del dialetto era specchio di un modo di pensare e di vivere. Non serviva l’università ad insegnare che per pagare i debiti occorrono più entrate che uscite, e se si fosse saputo che un istituzione piena di debiti si privava una volta per tutte degli introiti delle sue attività monopolistiche di gas e acqua, vendendole ad una ditta in cerca di una fonte perenne di sicurissimi guadagni, la conclusione corale sarebbe stata una raccolta di impietose, furiose e lapidarie sintesi condite di neologismi.

Figuriamoci se oltre a ciò la cessione non fosse avvenuta al prezzo necessario ad estinguere tutti i debiti più un surplus per debiti futuri, già penalizzante di per sé, ma addirittura ad un prezzo sgangheratamente insignificante! L’autore della vendita avrebbe potuto migliorare l’efficacia del suo biglietto da visita sostituendo nome e cognome con un “Misvendut” in grassetto. Ma questo poteva succedere allora, quando nessuno pretendeva di trascinare in tribunale la gente accusandola di dileggio per aver detto pane al pane e vino al vino.

Paolo Giardini