OMAGGIO A NANDA PIVANO

FERNANDA PIVANO.jpgDA IL GIORNALE

Era furiosa, voce fredda, dura, nessuna confidenza: «Con te non parlo, scrivete su di me cose false, assurde». Era nera, per un articolo o un commento che non le era piaciuto. Tu, ancora più freddo, reclamavi la tua innocenza. Lei poco a poco si sgelava, e parlando di Safran Foer e di Eggers si fece dolce, piccola, curiosa. Era la doppia anima di Nanda. Lei ti scrutava con quegli occhi da signora ribelle e diceva: «Tu con me devi usare la parola passione se no non capisci niente. Devi dire che i miei scritti sono viscerali: è questa la mia chiave. Hai capito?». Nanda testimone, oracolo, Nanda che narra la vita dietro la letteratura, Nanda Madonna beat e pellegrina, Nanda musa, amica, finestra sull’Atlantico.

Era difficile, ammettiamolo, non fare i conti con lei, con i suoi umori, le parole, le passioni. Basta sfogliare a caso tra le sue prefazioni, tra gli scrittori di cui è diventata compagna di viaggio, voce tradotta. A caso, così: L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper (1946), Storia di me e dei miei racconti di Sherwood Anderson (1947), Morte nel pomeriggio di Ernest Hemingway (1947), Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald (1949), Non si fruga nella polvere di William Faulkner (1951), Sulla strada di Jack Kerouac (1959), Hydrogen Jukebox di Allen Ginsberg (1964), Meno di zero di Bret Easton Ellis (1986), Libra di Don DeLillo (1989), Fight Club di Chuck Palanjuk (1998). L’America della Pivano è qui ed è un po’ anche la nostra.

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