MCLUHAN E L'ORIZZONTE POTUMANO

MCLUHAN.jpgMcLuhan posthuman: Immaginatevi un anfibio....

da Comunicalab site

....Ben diversa è invece la visione mcluhaniana. L’estensione dei sensi, la loro esteriorizzazione, la conquista del senso del collettivo, del buon senso, la perdita dei confini rigidi dell’individualità sono tutti aspetti legati al ruolo forte giocato dalla corporeità. È possibile rinvenire nell’interpretazione mcluhaniana della fruizione televisiva un elemento decisivo per delineare la figura del post-uomo: la spersonalizzazione del sentire. La tesi che la fruizione televisiva sia tattile e immersiva e non visiva e frontale è una delle intuizioni più produttive e note del nostro autore. La distinzione tra media caldi e media freddi ha segnato, nella sua accettazione o nel suo rifiuto, molti discorsi mediologici. Oltre allo spostamento dalla lettura (elaborazione di concetti) al sentire (emergenza di percetti), possiamo cogliere anche un’ulteriore slittamento: dal sentire autoriferito del soggetto al sentire spersonalizzato. Di questo sentire non si può cioè predicare l’appartenenza piena al dominio del soggetto: il telespettatore non riesce a controllare le risposte tattile, submuscolari del suo corpo alle sollecitazioni del tubo catodico. Si instaura un rapporto eteroriferito tra un corpo non più controllabile e racchiuso all’interno di schemi mentali e un apparecchio, una macchina. Interno e esterno collidono e si confondono: lo spettatore televisivo “è bombardato da atomi che rivelano l’esterno come interno in un’avventura incessante tra immagini annebbiate e contorni misteriosi” (McLuhan, 1964: 349). Il fatto che McLuhan leghi questa riflessione sulla fruizione televisiva alla descrizione del rapporto tra guidatore e automobile, permette di richiamare anche i rapporti perversi ma intimi tra corpi e veicoli descritti da James Ballard in Crash (Ballard, 1973). Ma la strada ad una visione del post-uomo è aperta dallo stesso McLuhan allorché, osservando il corpo elettrizzato, immaginificamente scrive: “cercate di immaginarvi un anfibio con la sua corazza posta all’interno e gli organi posti esteriormente. Così è l’uomo elettronico con il suo cervello all’esterno della scatola cranica e il suo sistema nervoso a fior di pelle; una creatura simile può essere soltanto di cattivo umore e rifuggire dalla violenza diretta. Può essere paragonata a un ragno abbandonato e rannicchiato nella sua ragnatela sonante che risuona assieme a tutte le altre ragnatele. Non è fatto di carne e sangue, ma è solo un elemento, effimero, di una banca di dati, facilmente dimenticato e perciò frustrato” (McLuhan, Powers, 1986: 126).

Questa visione del post-uomo, al di là di alcune connotazioni negative che andrebbero sviscerate, è da McLuhan inserita nel solco che si scava tra due diverse e contrapposte opzioni evolutive che segnano l’adattamento della nostra vita psichica e biologica alla velocità del cambiamento tecnologico: l’inumano e l’uomo nuovo. La prima opzione è individuata nell’esito estremo dell’industrializzazione, nel momento in cui la “macchina invisibile”, il sistema di cui l’uomo non è più padrone, sovverte la sua stessa umanità. Guardati in quest’ottica, i media si configurano come un “poderoso impianto di distacco” (McLuhan, 1999: 194), come il “grande sistema del Ciò che vuole il pubblico” (Wyndham Lewis citato in McLuhan, 1999: 195). In questa condanna nei confronti del “secolo del materialismo” è evidente l’influenza del cattolicesimo. Ma è anche evidente il rifiuto degli esiti nefasti della dottrina dell’azione, dell’“uomo dell’azione (fronte bassa, mascella d’acciaio, sguardo di pietra, cuore di marmo)”, dell’super-ismo a cui ha messo capo il mondo moderno che “procede attraverso la dialettica della violenza per privazione della materia stessa” (McLuhan, 1999: 2003). McLuhan avverte che ogni attesa rigenerativa nei confronti del superuomo è destinata allo scacco, poiché “oltre il secolo dell’uomo comune ci sono secoli di uomini sempre più comuni” (McLuhan, 1999: 203). Rispetto a questa possibile deriva, la risposta mcluhaniana (sempre inseparabile dalla sua fede cattolica) sembra a prima vista molto conservatrice: egli propone un nuovo umanesimo capace di riconoscere l’eccellenza umana e la necessità del “ritorno degli uomini all’attività razionale”. “La cosa più poetica del mondo è la coscienza umana ordinaria. Mi sembra da subito che questo sia un fondamento molto democratico e profondamente cattolico per qualunque Umanesimo. È cruciale per noi comprendere questa questione nell’era dei cosiddetti mass media” (McLuhan, 1999: 170). Dichiarazioni di questo tipo hanno giustificato letture del pensiero del mediologo canadese in chiave di umanesimo antropocentrico: è il caso nostrano di Gianpiero Gamaleri. Il quale però, pur evidenziando l’attenzione centrata sul “fattore uomo” (Gamaleri, 1976: 36, 79), sul primato dell’uomo, non può non riconoscere che si tratta di “un uomo capace sempre più di modificare la propria conoscenza e la propria azione in conseguenza dei nuovi equilibri sensoriali stabiliti dai media” (Gamaleri, 1976: 79). Ma questa metamorfosi continua provocata dai media dichiara la fine della comprensione dell’uomo definito “da un nucleo solido, una base permanente e stabile del suo essere” (Abbagnano, 1967) e padrone del proprio destino. Dichiara l’impossibilità di stabilire un modello “normale” di uomo in base al quale escludere quelle che sono state dette a lungo “anormalità” (cfr. McLuhan, 1964: 25-26).

A questo punto, però, qualcosa non quadra: da un lato, si è detto che McLuhan apre la strada ad una visione del post-uomo, paragonandolo ad un anfibio o ad un ragno; dall’altro, si leggono richiami a un nuovo Umanesimo. Ci si potrebbe fermare qui, segnalando la compresenza di spinte eterogenee, finanche opposte nel nostro autore. Ma la questione è ben più complessa e riguarda il modo in cui McLuhan pensa la religione: il cristianesimo per lui è essenzialmente religione della carne. Su questa base, che in altra sede andrà sviluppata, si deve comprendere come l’eccellenza umana sia fondata essenzialmente su un elemento di coniugazione e vicinanza con l’alterità, sia essa la carne degli animali o quella del mondo. L’uomo per McLuhan è eccellente in quanto si apre all’ibridazione, si coniuga e si estende (anche nei media, anche grazie ai media). La razionalità o coscienza non è definita, inoltre, con le categorie astratte della metafisica, ma è concretissima (del corpo, dei sensi) capacità di mettere in relazione e non di dividere e astrarre: “la razionalità o la consapevolezza è in se stessa una ratio o un rapporto tra le componenti sensorie dell’esperienza, e non qualcosa di ‘aggiunto’ a quest’esperienza” (McLuhan, 1964: 122).

Una mediologia matura e normale non può dunque che assegnare questo ruolo decisivo alla funzione mediatrice del corpo. Non si può che constatare come in McLuhan una tale esplicita assegnazione sia una conseguenza affatto necessaria del suo tentativo di denunciare la scissione tra medium e messaggio, proposta e imposta per oltre due millenni sulle nostre squadrate lande. Una tale assegnazione ribadisce ancora come l’orizzonte di comprensione della natura umana che ci è aperto dai media non-alfabetici, sia essenzialmente legato ad un luogo -- il nostro corpo. È questo luogo che noi siamo, e non invece un punto (di vista) esterno che dall’alto lo governa o lo percorre. E, nello specifico, un luogo non dato una volta per tutte, ma sempre in continua e radicale mutazione. Un luogo che però si nega alla vista (al dominio della vista) più noi ci approssimiamo ad esso. ( antonio.tursi@unimc.it )

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