Nel petrolchimico, piccole aziende sono al collasso per il perdurare della crisi, mentre alcuni reparti oltre alla crisi generale paventano l’incombente rischio di chiusura, dipendendo dalle sorti di una fabbrica di Porto Marghera che minaccia da anni di cessare la produzione d’etilene, materia prima delle lavorazioni ferraresi. I sindacati si accorgono quasi sempre di ogni riapparire della cassa integrazione, agitandosi. Allora il sindaco affronta il problema convocando importanti riunioni, e a conclusione dichiara la sua solidarietà ai lavoratori ristabilendone l’equilibrio psicofisico.
Nonostante questi chiari di luna, per la parvenza ecologica di una centrale localmente inutile si parla di confinare nel sottosuolo la sua produzione di CO2. Per far ciò servono impianti appositi, costosi sia da realizzare che da alimentare, abbassando il rendimento della turbogas. Chi glielo fa fare all’ENI? La sua innata vocazione ambientalista?
Su Estense.com del 10 agosto, l’articolo titolato “Turbogas, assurdo un impianto di stoccaggio della CO2” riguarda la richiesta del Comitato Città Sostenibile di un incontro pubblico per denunciare i rischi di quell’operazione, ipotizzata da un professore che la propone non in zone desertiche, a chilometri di profondità in rocce porose fra strati impermeabili, ma a quote più vicine alla superficie nella nostra area alluvionale. Il Comitato contesta l’ipotesi con valutazioni chimiche e geologiche non adatte a un pubblico eterogeneo, riporta però una semplice considerazione - comprensibile anche ai politici al potere - riguardo all’affidarsi a sistemi di monitoraggio sulla tenuta nel tempo di quella soluzione, chiedendo: “… se con il monitoraggio si scopre che i 50 milioni di tonnellate di CO2 risalgono in superficie cosa si fa? Si evacua per sempre un ampio territorio della nostra provincia?”.
La domanda è utile: basta quella per accartocciare il progetto e buttarlo via. Ciononostante, il dibattito avrebbe egualmente una funzione educativa perché, per ragioni imperscrutabili, il concetto di monitorare il problema dopo averlo creato sembra la regola del Tagliani che ha fatto perdere alla città il controllo dell’acqua prima che sia erogata. Ora il neosindaco, assieme al suo partito e agli alleati, sostiene che esami di routine dell’Arpa siano una vigilanza sufficiente ad accorgersi quando i buoi sono scappati dalla stalla, e tutti ne converranno. Le divergenze, caso mai, si troveranno sull’ardita ipotesi di non far scappare i buoi. Ecco perché il dibattito costituirà un’occasione per informare il neo sindaco che quando mancano i pericoli (come il gas artificialmente concentrato sottoterra, o la tutela pubblica dell’acqua a cura di monopolisti mercenari) non c’è bisogno di monitorarli! Se tale nozione si depositasse nelle teste dei politici, si aprirebbe la strada al passo successivo, quello dell’assimilazione del Principio di Precauzione, prima norma etica della politica del 3° millennio, già presente nella Costituzione Europea e, senza proclami, in tantissime attività disciplinate dagli esperti in cui i politici non c’entrano. Ben venga quindi il propedeutico incontro! Unica precauzione necessaria, ricordando che l’amministrazione è ancora quella solita, occorre disporre di un traduttore simultaneo dall’italiano al politichese-sindacalese.
Paolo Giardini