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IL PRINCIPATO DI MARCO AURELIO

Il periodo del principato di Marco Aurelio (161-180) fu un'epoca di continue guerre esterne, che richiedevano l'attiva presenza dell'imperatore. Una siffatta vita non era di suo gradimento, come non lo era la maggior parte dei suoi doveri di imperatore. L'ironia della sorte volle che l'unico filosofo di quell'epoca che fosse veramente in grado di dirigere la politica, di esercitare quell'influenza che Musonio, Dione e altri pensatori volevano veder svolta da un filosofo, non fosse interessato a farlo, e nemmeno a riflettere sulla maniera in cui lo si dovesse fare. Le sue Riflessioni o Ricordi o Colloqui con sé stesso sono pieni di superiori sentimenti morali, ma contengono poco o nulla di filosofia politica. Le poche tracce riconoscibili non aggiungono nulla ai precetti del tardo stoicismo che ci sono già familiari. Marco ben sa che gli uomini devono imparare a vivere insieme come cittadini, che la nostra attività intellettuale dev'essere sociale non meno che razionale. E non ci può essere dubbio circa la consapevolezza che egli aveva del proprio dovere verso la comunità. Egli dichiara in termini molto generici qual'è il tipo di società che vorrebbe realizzare. Ma la sua  preoccupazione dominante per la brevità dei ricordi umani, gli rendono difficile attribuire molta importanza alle comuni attività del cittadino e alla sua politica. "La causa ultima della creazione", egli scrive, "è un torrente che tutto spazza via. Di che poco conto sono queste creature sociali e politiche, questi minuscoli e piagnucoloni esseri umani che immaginano di praticare una vita da filosofi". Ne discende, per Marco Aurelio, che  la conclusione che essere cittadini di questo mondo fosse cosa di nessuna importanza, al punto che egli non si interessava del lato mondano della cosmopoli stoica, mentre si interessava della Città di Dio.
Casalino Pierluigi

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