1917-2017. A cent'anni da Caporetto una riflessione sulla varia neutralità socialista come immagine di quella del Paese

Quando scoppiò la Grande Guerra, la maggior parte dei partiti socialisti europei si mostrò sensibile all'idea della "guerra giusta", nonostante la perdurante perplessità tabù di quella parte politica. "Una guerra giusta", dunque, che era incentrata ad avviso dei socialisti sul principio patriottico (nel contesto dei debordanti nazionalismi all'origine del primo conflitto mondiale) della difesa territoriale e civile. Anche i socialisti tedeschi votarono al Reichstag a favore dei crediti di guerra e analogamente quelli francesi si espressero sull'argomento al grido "pour la patrie, pour la rpublique, pour l'Internationale". I socialisti italiani si dichiararono invece per la "neutralità assoluta", anche non poche furono le eccezioni. A Torino alcuni giovani, impegnati nell'attività socialista, sposarono posizioni assai meno conformi alla "neutralità assoluta". Quando il 18 ottobre 1914, fu pubblicato sull' "Avanti!" il famoso articolo di Benito Mussolini "Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante", dove si augurava l'esigenza di essere non più spettatori inerti, ma protagonisti di un evento così rilevante. Le reazioni all'intervento di Mussolini furono discordi. Angelo Tasca, che in seguito sarebbe divenuto storico del fascismo, il 28 ottobre 1914, scrisse sul settimanale socialista torinese "Il grido del popolo" un articolo nettamente contrario a quello di Mussolini, ma sullo stesso organo di stampa il 31 ottobre 1914, Antonio Gramsci contestò l'atteggiamento di Tasca, mostrandosi comprensivo di quello di Mussolini, raccogliendo il consenso di Palmiro Togliatti, che era decisamente interventista. Quest'ultimo, riformato per miopia, volle infatti essere conseguente al suo pensiero interventista, arruolandosi nella Croce Rossa, unico servizio che gli concedeva di partecipare da vicino alla guerra. Nel 1916 Togliatti, a seguito della revisione dei riformati, rientrò persino nel servizio militare. Quando in pieno conflitto si generò tra i dirigenti socialisti la formula celebre "né aderire, né sabotare", i massimalisti si riconobbero nella prima parte della formula, i riformisti nella seconda. Tale differenza si manifestò più apertamente all'indomani di Caporetto nel discorso di Filippo Turati, che incitò gli italiani alla resistenza, in difesa della patria invasa. Un discorso che suscitò polemiche in qualche compagno di corrente di Turati, fra cui Giacomo Matteotti: "Non neghiamo, sosteneva Matteotti, l'esistenza della patria, ma essa non è la nostra idealità", circoscrivendone la convergenza solo nel caso in cui essa si identificasse con quella causa della libertà, come nel 1848, perché priva di volontà di predominio su altri. Concetto che sarebbe stato ripreso nella Costituzione repubblicana del 1948. A cent'anni da Caporetto, il Paese fronteggia una nuova ed insidiosa minaccia, forse più temibile, perché più articolata e complessa e pertanto più difficile da affrontare. quella di una crisi economica che, come ha dichiarato il Presidente Mattarella, ha sfiancato gli italiani, senza reali prospettive di uscita, mentre si addensano le nubi delle gesta fanatiche di soggetti legati ad un'internazionale del terrore che rischia di produrre danni superiori alla coscienza d'Italia e d'Europa di quelli pur immani della Grande Guerra.
Casalino Pierluigi, 31.12.2016