Nel 528, come narra il cronista di Antiochia Giovanni Malala, l'imperatore Giustiniano lanciò in tutto il territorio dell'Impero una grande persecuzione anti-pagana. Non pochi furono uccisi e nell'occasione fu deciso anche che nessun pagano potesse ricoprire una carica pubblica. L'anno seguente, il 529, sempre Giustiniano emanò un decreto che vietava in Atene "l'insegnamento della filosofia e la spiegazione delle leggi". Tale divieto riguardava sicuramente quello impartito dalla scuola platonica, dal momento che le altre cattedre di filosofia istituite da Marco Aurelio, non esistevano più da tempo. La scuola platonica era dotata di un grande patrimonio, dovuto ai lasciti degli adepti, Damascio riferisce che, all'epoca di Proclo, tale patrimonio fu confiscato per ordine di Giustiniano, come si evince dallo storico Procopio nella "Storia Arcana", opera chiaramente anti-giustinianea. I filosofi, e con loro gli altri scolarchi, preferirono rifugiarsi presso la corte persiana sassanide del nuovo sovrano Cosroe. Cosroe, che era filo-elleno, fece tradurre, tra l'altro, opere di Aristotele e di Platone e fece pure predisporre un manuale di logica aristotelica, tuttora conservata in traduzione siriaca. Gli intellettuali in questione, tuttavia, furono presto coli di sorpresa dal comportamento persiano. Una pace tra l'impero romano e la Persia di Cosroe sancì, infatti, la possibilità del ritorno in patria dei filosofi senza però dover abiurare alle loro convinzioni. Fino al XII secolo il loro pensiero pagano-teurgico sopravvisse in ogni caso anche in area non romana presso i Sabei di Harran in Mesopotamia: qui la comunità ellenica dedita alla astrolatria trasmise alla cultura arabo-islamica il sapere classico che contribuì, tramite le traduzioni arabe, a formare le idee dei più importanti filosofi arabi. Era quella un'epoca in cui, in stridente contrasto con quella cristiana, l'Islam favoriva gli studi di pensiero, recuperando quell'eredità greca che ritornò all'Europa latina proprio grazie alla mediazione araba.
Casalino Pierluigi
Alla Mecca il profeta preferito dai musulmani era Mosè; a Medina il suo posto fu preso da Abramo, e Maometto trovò ottime risposte da opporre alle critiche degli ebrei:lui e i suoi musulmani erano tornati allo spirito più puro della fede (hanifiyya) proprio di quegli uomini che erano stati i primi muslim a sottomettersi a Dio. Non sappiamo fino a che punto Maometto abbia condiviso il desiderio di alcuni arabi degli insediamenti di tornare alla religione di Abramo. Nel Corano non viene fatta menzione della piccola setta meccana hanyfiyya;e la figura di Abramo prima delle sure medinesi fu oggetto di scarso interesse. Tuttavia, sembra che in questo periodo i musulmani chiamarono la loro fede hanifiyya, la vera religione di Abramo. Maometto aveva quindi trovato una via per confutare gli ebrei, senza abbandonare l'idea centrale della sottomissione a Dio anziché a una mera espressione terrena della fede, e la rivalutazione dell'importanza di Abramo gli permise di approfondire tale c...