“Al posto di una filosofia greca intesa come una via del tutto lineare destinata a essere deviata e distorta dalla cultura cristiana, musulmana o medievale, comincia a emergere un’immagine molto più tortuosa: un quadro che suggerisce come il corso della filosofia greca sia esso una sorta di curva e che c’è stato bisogno di una deviazione ulteriore per ritornare, attraverso l’allontanamento degli equivoci platonici e aristotelici, più vicini all’originale punto di vista presocratico”[2].
Il libro di Kingsley potrebbe essere considerato alla stessa stregua di “Il Mulino di Amleto” di Giorgio De Santillana, autore, quest’ultimo, che viene spesso citato dal primo come un solitario e illuminato precursore dei tempi.
Empedocle in questo volume viene presentato come mago e filosofo, con una profonda e inappellabile confutazione dell’idea in base alla quale questi due termini sarebbero inconciliabili, antitetici. Solo la tradizione razionalista aristotelica ha voluto scinderli, delegittimando completamente la magia.
L’azione e il pensiero di Empedocle sono strettamente connessi con la sua terra d’origine: la Sicilia ed è da qui e dal sud Italia che si irradia una tradizione magico-filosofica, esoterica alimentata dal pensiero del sapiente di Agrigento, dal Pitagorismo e dall’Orfismo che Kingsley dimostra essere intimamente connessi fra di loro. Questa tradizione approda in Egitto, è presupposto di quella ermetica, arriva in Oriente, ma anche si pasce di elementi orientali, torna in Italia, ma questo avviene con un flusso continuo, tant’è che nel libro è messo bene in evidenza come non ci sia soluzione di continuità fra il Neopitagorismo romano del I a. C. e quello delle origini e questo per una città come Roma è estremamente significativo.
Questa tradizione alimenta quella alchemica: si ritrovano elementi originali del pensiero di Empedocle nella Turba Philosophorum, quindi pervade la cultura esoterica araba, dando un apporto fondamentale al Sufismo. Si tratta della medesima tradizione che è al fondo della filosofia di Plotino e quindi finisce per esserlo dell’ideologia imperiale Romana che, come è noto, non tramonta certo nel 476 d. C.
E’ questa LA TRADIZIONE che sola potrebbe garantire l’armonia delle terre e delle genti che attraversa come uno di quei fiumi sotterranei d’acqua e di fuoco nel sottosuolo della Sicilia?
Questa tradizione affonda le proprie radici in Omero e Esiodo, come ben dimostra Kingsley, quindi si sarebbe tentati di dare una risposta affermativa alla domanda.
E’ però una tradizione legata a culti ctoni: Demetra, Persefone, il fuoco centrale, sarà poi sufficiente pensare alla morte di Empedocle per cogliervi un chiaro nesso con l’ambiente infero e con un’altra grande dea: Ecate, alla quale soprattutto rimanda il sandalo di bronzo.
Se il lettore è di un certo tipo ad un certo punto non può stagliarsi nella sua mente la figura di un altro grande maestro e non credo che l’accostamento sia esagerato o irriverente: Julius Evola. Costui mette in luce il carattere demetriaco, pelasgico della tradizione pitagorica e orfica, in netta opposizione a quella solare e apollinea che sarebbe la genuina e originaria sostanza della romanità, contaminata e corrotta dalla prima frutto delle genti mediterranee.
Poniamoci un’altra domanda: era veramente questo il pensiero di Evola? “Rivolta contro il mondo moderno” è un testo analitico, quindi definizione e separazione sono inevitabili è un testo che potremmo dire essoterico. In “La Tradizione Ermetica” si legge: “Giungere sin nel profondo della Terra non a trovar in essa un limite, ma il principio per l’onda più alta” . Empedocle assurge al culmine del suo percorso eroico gettandosi nell’Etna: “Si scende in profondità allo scopo di innalzarsi”[3]. La discesa agli inferi è imprescindibile presupposto per la salita ai cieli, cosa che Evola dimostra di sapere bene. A questo punto entra in gioco anche la tradizione sciamanica, che in Grecia si connette con il culto di Apollo[4]: un Apollo iperboreo che scende da Nord. Si nota come linea femminile-ctonia-mediterranea e virile-celeste-iperborea tendano a convergere, iniziando a mostrarsi l’una il presupposto dell’altra. Kingsley mette bene in luce come andrebbe fatta risalire alla tradizione empedoclea-pitagorica la concezione di un sole infero, un sole nero, presupposto di quello celeste, splendente, si tratta come è noto di un elemento fondamentale per tutta la tradizione alchemica. Apollo ha una componente infera, soprattutto in Italia e a Roma, basti pensare al culto del Soranus Pater, ma anche a quello di Veiove. Apollo a Roma è presente sin dal V secolo a. C., come Medicus, il suo luogo di culto è nel Tarentum (nome che rimanda ad una città dalla forte tradizione pitagorica) e si trova sopra quello di Dis Pater, ancora una volta quindi in connessione con il mondo infero. Medicuse infero sono due caratteristiche tipiche di Empedocle che visse in Sicilia proprio nel V a. C., proprio quest’isola in questo secolo ha un ruolo fondamentale nell’introduzione a Roma, sia del culto di Apollo che di quello di Dite (Plutone) e Persefone, con il nome di Nesti, quest’ultima rappresenta l’elemento dell’acqua secondo Empedocle. Non è certo un caso se questa tradizione approda a Roma ove sin da epoca arcaica si sarebbe voluta attiva l’influenza pitagorica. Non è forse stato giustamente osservato che il Lapis Niger si trova al centro d’un cerchio, cioè: il perimetro romuleo?[5]Un punto al centro di un cerchio: un chiaro simbolo alchemico, che però potrebbe essere letto sia come simbolo del sole, diciamo splendete, celeste, che del fuoco centrale, ctonio, cioè il sole nero, potrebbe quindi essere letto come unione dei due aspetti che non possono prescindere l’uno dall’altro.
Apollineo e Demetriaco appaiono così intimamente connessi: il secondo è l’ubertà, cioè l’espansione, il primo è il principio formante, la volontà, ma c’è una volontà anche nell’ubertà, nell’espansione, ma è una volontà cieca: il sole nero, Apollo infero, dal quale “si passa”, con un procedimento non spiegabile dalla logica aristotelica, alla volontà conscia del principio solare.
L’ascesi eroica della tradizione romana che è ascesi di azione è chiaramente riconducibile ad una tradizione magica: il mago agisce non contempla, proprio come Empedocle: curatore, dominatore degli elementi o anche i Pitagorici.
Per questo il sorgere della potenza di Roma è “rivolta contro il mondo moderno” dominato dalla logica aristotelica razionalizzante della classicità avanzata e dell’”ellenismo borghese”, collocarla in un’epoca storica definita, chiusa nel passato, sarebbe cedere proprio alla logica alla quale si oppone e così anche il pensare che il tempo in cui si vive sia peggio di quello trascorso, o anche meglio. E’ sempre un istante in cui scendere nelle profondità per assurgere al cielo. Se è vero, come sostiene Spengler che l’ottimismo è viltà, va tuttavia osservato come il libro di Kingsley è innovativo per il mondo accademico al quale l’autore appartiene, lo potrebbe essere per qualcuno che influenzato dalla cultura dominante potrebbe trovare affascinante questo cambio di prospettiva, ma certo l’essenza di quanto Kinglsey afferma non è nuova alle orecchie e agli animi di chi si è formato non solo su grandi maestri come Eliade, Evola, Jünger….., ma anche leggendo riviste di divulgazione del pensiero di costoro, riviste, per anni, relegate in precisi ambiti ristretti. Ora i Proscritti sono all’avanguardia: terribile responsabilità, anche perché l’edizione originale del libro di Kingsley è del 1995 e, in effetti, questo interesse della “cultura ufficiale” è evidente almeno da una ventina d’anni.
[1] Pindaro, Pitica IX, 135-136.
[2] P. Kingsley, Misteri e Magia nella Filosofia Antica, Empedocle e la tradizione pitagorica, Milano 2007, p. 206.
[3]Kingsley, p. 246.
[4] M. Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma 2005, pp. 413-420.
[5] G. Casalino, Il nome segreto di Roma, Roma 2003, p. 190.