Occhi vispi e penetranti sotto gli stessi identici occhiali di 40 anni fa, maglione blu e giacca grigia, il professore di dottrina dello Stato si siede sulla cattedra open air del centro sociale La Resistenza.
Blocco di appunti sul tavolo e orologio per scandire i tempi e via con una prolusione di oltre due ore per spiegare perché oggi la crisi che viviamo “non è certo un vento eccezionale e inaspettato”.
Quella davanti ai nostri occhi è “la crisi del capitale”, cioè di quel “rapporto tra chi comanda e chi obbedisce, tra chi sfrutta e chi lavora, tra chi ha il potere e chi resiste”. Ne consegue la “redistribuzione del contenuto del risultato del lavoro” che trova impreparati solo chi subisce quel rapporto. A spiazzare le ‘masse’ sono essenzialmente due fattori. Da un lato la fine del secolo breve, quello che Hobsbawm faceva decorrere dal 1917 al 1989, dalla Rivoluzione di Ottobre alla fine del socialismo reale; dall’altro la fine del concetto di classe operaia, spezzettata nel mondo del precariato e dell’informatizzazione dell’era tecnologica.... C