Vittorio Feltri: "La guerra dentro al Pd Non vogliono Renzi solo perché è più bravo"

L’uomo del giorno è Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Domina su tutti i giornali, compare spesso in televisione, divide l’opinione pubblica, suscita in molti grande ammirazione e disprezzo in alcuni, specialmente i signori burocrati degli apparati del Pd. Ma chi è costui? Tranquillizzo subito i lettori: non mi occuperò della sua biografia, un genere che lascio agli specialisti. Mi limito a osservare che mai nessuno, prima di lui, aveva osato mettersi di traverso rispetto alle linee dettate dalla nomenklatura di sinistra.
Cosa fosse il Pci è noto anche a chi non ne ha assaggiato i metodi per motivi di età. Per cui sorvolo. Cosa sia diventato negli anni è lì da vedere. Ha perso solidità, fascino, efficienza organizzativa, capacità di suggestionare i giovani. In pratica ha perso i pregi, ma gli sono rimasti i difetti: è settario, diffida della modernità, guarda indietro anziché avanti, è talmente supponente da essere persuaso di avere il monopolio della cultura; è convinto che i suoi elettori e iscritti siano antropologicamente diversi e di moralità superiore; e che se un intellettuale non è un compagno non è neppure un intellettuale.

Un partito così a gioco lungo è destinato a morire per autoconsunzione.Oggi c’è molta gente che lo vota ancora memore dei passati trionfi alle urne. Ma quando si accorgerà - molto presto - che il Pd non è stato all’altezza di sostituire la defunta ideologia almeno con un’idea, lo abbandonerà, ammesso trovi un’alternativa di cui al momento non si vede traccia. Oddio,un’alternativa ci sarebbe,ed è proprio Renzi, ma i capoccia sedicenti democratici lo rifiutano: già, lo odiano. Lo odiano perché egli incarna il nuovo, e il nuovo li terrorizza, li disorienta, toglie loro ogni sicurezza, sono impreparati ad affrontarlo, forse anche soltanto a comprenderlo.
Si dà il caso che il Pd sia fortemente conservatore e incline a barricarsi nel politicamente corretto e che spari contro chiunque rompa gli schemi obsoleti sui quali si basano ancora gli eredi del comunismo. Lo Statuto dei lavoratori, che pure è un obbrobrio solo italiano, guai a chi lo tocca. Le pensioni di anzianità? Sono sacre. Equiparare uomini e donne sull’età della quiescenza? Non se ne parla nemmeno. Liberalizzare le attività professionali? Figuriamoci. Cambiare modello di sviluppo? Roba da matti.Siamo all’adorazione dello statu quo. Modificare la Costituzione? Un delitto.

Matteo Renzi è piombato come un meteorite fra i piedi di Pier Luigi Bersani ed epigoni vari e ha provocato uno sconquasso nel cimitero del riformismo negato. Sulle prime lo hanno giudicato un eretico, una simpatica canaglia, un fenomeno folcloristico, una nota di colore nel grigiore del partito.

Poi è montata la diffidenza che si è in fretta trasformata in aperta ostilità. Renzi sarà un nemico, forse lo è già. Lo si intuisce dall’articolo di Concita De Gregorio (ex direttore dell’ Unità ) pubblicato ieri sulla Repubblica . Titolo: «Il populista di centro».
Populista, nel linguaggio della supposta sinistra (finta), è un termine peggiorativo di qualunquista e ha perfino preso il posto di fascista da quando Gianfranco Fini è un paladino dei progressisti. Populista suona come una condanna senza appello, una scomunica cui seguirà il rogo. Chi usa questo vocabolo attribuendogli una semantica arbitraria ignora che i populisti furono antesignani dei comunisti. Vabbé. Quisquilie.

Gli intellettuali non badano a simili sottigliezze. Bollato di populismo, Renzi dovrà combattere per sopravvivere nel caravanserraglio dell’attuale opposizione. È stato bocciato perché, in questa sinistra conservatrice e tetragona a qualsiasi tipo di evoluzione, egli è l’unico davvero di sinistra, l’unico progressista autentico, l’unico insofferente ai luoghi comuni, ai tic e agli stereotipi che costituiscono l’impalcatura vetusta del Partito democratico. È paradossale solo in apparenza: il sindaco di Firenze, giovane e sgamato, spregiudicato in quanto privo di pregiudizi, spavaldo e astuto, è respinto da chi comanda nella sua area politica per una sola ragione: se arriva lui al vertice, i dinosauri non hanno un futuro e neppure un presente. Il rischio che vinca mette in moto nel Pd un meccanismo di autodifesa che non esclude nulla, nemmeno lo sputtanamento del ragazzaccio impertinente che ha scaricato nell’Arno la zavorra dei compagni d’antan.

Al quale ragazzaccio l’apparato rossiccio si oppone sbandierando un antiberlusconismo salvifico gabellato per programma. Far fuori il Cavaliere: come se fosse sufficiente a garantire al Pd e al Paese lunga vita e prosperità. Poveri illusi. Renzi sarebbe per i democratici l’uomo giusto allo scopo di sparigliare, ma loro si fanno in quattro per annegarlo negli insulti.

D’altronde, se fossero intelligenti non sarebbero lì a pettinare le bambole agli ordini di Bersani.

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