Pierluigi Casalino : intervista a ROSARIO NUNZIANTE : tra simbolismo e ricerca dell'Essere futurista multicolore
Pierluigi Casalino – Rosario, una delle caratteristiche della tua arte è quella di rapportarsi con la dimensione cosmica dell’uomo. Sembri evocare nelle tue opere una descrizione, quasi mistica, dell’universo, in cui l’elemento umano e quello divino si fondono per naturale simbiosi: ci appare un disegno elaborato e denso, come non capita di ammirare. E’ questo il senso autentico della tua rappresentazione?
Rosario Nunziante – il mio è un impegno che rientra in una visione, a me molto cara, quella di coniugare innovazione ed invenzione,. Un’unità essenziale, a mio avviso. per me fare arte non corrisponde sicuramente ad una mera catalogazione di fatti…Non fotografo immagini, ne riscopro il significato evocativo e, se mi è consentito, ne ricerco le origini.
P.C.- Mi vuoi dire che l’arte è l’esplorazione di ciò che non conosciamo, del mistero che incombe? Quando ti definisci “naturaliter” futurista è perché proponi una terza cultura, Qualche critico ha scritto, a tale riguardo, che in te si apre una visione estrema del concetto di contemporaneità. La tua sarebbe, quindi, una testimonianza del nuovo fare pittura: un momento di sintesi assai originale, che definirei “sincretistico”. Alla luce di queste considerazioni come ti collochi nell’odierno panorama artistico italiano?
R.N.- Il mio futurismo è convinto, percepisco in me una vis di prima maniera. Del resto mi pongo nel ruolo di chi desidera promuovere una missione creativa, non dimenticando mai di essere una parte del tutto, solo una minima parte del tutto. Nel tentativo di superare gli elementi instabili, mutevoli e accidentali, mi piace considerare sulla dimensione eterna. Una meta alla quale ci si avvicina, percorrendo in modo ascensionale i gradi diversi della pluralità delle altre dimensioni. Il problema delle dimensioni è fondamentale per capire l’uomo e la storia. Mi sento pertanto un post metafisico itinerante verso l’assoluta immensità, per interpretare non solo la centralità dell’essere, come avviene nella metafisica tradizionale, ma qualcosa di più. Mi dispongo in continua sintonia con l’intimità delle cose. Due azioni complementari. La mia attenzione si fissa sull’opera d’arte che realizzo, come se in essa trovassi delle spiegazioni. Mi astraggo, ma non mi assento, tuttavia. Nell’opera d’arte c’è tutta la mia coscienza, il mio essere e il mio divenire. Sotto questo aspetto, tuttavia, la mia pittura riprende il messaggio di un personaggio quale Pavel Florenskij, ne è l’estensione plastica.
P.C. Il tuo passato sarebbe, secondo un’espressione abusata ma appropriata, un vero “ritorno al futuro”?
R.N.- Sicuramente la mia è una pittura metafisica nel significato più autentico del termine, un disegno che mira a coinvolgere e ad esprimere lo spirito intelligente dell’universo. “Meditatio”, ad esempio, rappresenta una simbologia della coscienza di se, quasi “incosciente”. Concedimi quest’immagine. In tale prospettiva la mia formazione sensitiva – e ti rispondo – costituisce un momento di elevata sensibilità creativa, un patrimonio che ho acquisito sul campo,. Mi identifico con l’utopia, quell’utopia di cui ha tanto bisogno il nostro tempo! Riunisco i segmenti dell’essere iniziale. Mi figuro una via che ricomponga quello che è stato separato dalla schizofrenia della vita quotidiana.
P.C. - in ultima analisi i tuoi quadri si inscrivono in quella che Florenskij definisce la “metafisica concreta”. Una lezione, quella del pensatore-scienziato russo, che hai contribuito a illustrare in lavori di grande suggestione come “Meditatio” e “Ab Initio”, che molti conoscono come “L’Invenzione dell’Eden”. La tua arte ci apre, soprattutto con “Ab Initio”, ad una concezione escatologica e incantata del viaggio dell’uomo. Appari tu stesso l’attore di una scena, che va perfezionandosi nella conoscenza di se, nel consapevole muoversi nei labirinti dell’io, interpretandone le scansioni oniriche. Che ti resta in comune, dunque, con le polimorfie, gli enigmi e le rielaborazioni mitologiche di De Chirico, con le sue incursioni metafisiche? Che ruolo gioca la tua formazione sensitiva in questo processo neometafisico o post metafisico, che ami chiamare “allegorico”? Non basta la tua intuizione escatologica per cogliere in modo compiuto il tuo compito creativo. Questa è l’impressione di chi osserva le tue opere.
R.N. la metafisica di De Chrico insegue metafore e simboli che non comprendono la totalità dell’essere, né lo contengono. Non mi riconosco in essa, in effetti, se pur ne valuto la portata innovativa, rivoluzionaria dal punto di vista estetico e formale. Io mi sforzo di rendere l’essere compartecipe dell’universo, certamente protagonista, ma non soggetto principale che aristocraticamente osserva e non è osservato. La mia esperienza parte dal linguaggio dell’amico pittore Luciano Proverbio, un linguaggio che ha assunto nel tempo connotati fantastici ed allusivi. Il mio è un linguaggio allegorico, nel senso che si propone di svelare l’ansia di utopia.
P.C.- Proverbio, in realtà, si distingue specialmente nell’arte del disegno, ma ha saputo estendersi con talento ad altri territori creativi, riprendendo l’approccio immaginifico e raffinato della grafica antica. Cosa hai in comune con lui?
R.N. – l’equilibrio tra fantasia e mondo reale, che spesso trasferisco nella mia simbologia. Proverbio è un pittore decisamente sensitivo: da lui proviene il mio desiderio di ricerca “simbologia”. Uno sforzo che, sul piano sensitivo, richiama il lascito di un personaggio inquietante e altrettanto incredibile come fu un altro mio grande amico pittore Gustavo Adolfo Rol.
Rol circoscrive una fase di movimento della mia esistenza. La fissa nelle mie immaginazioni. Ho conosciuto Rol quando già volgeva al termine la sua parabola di straordinario veggente. Accanto a Rol mi piace ricordare lo scrittore Giuseppe Allemano, Preside dell’Accademia dei Lincei, figura di grande carisma, che ha segnato la mia formazione spirituale. Nei miei lavori il sapore dell’enigma metafisico deve molto ai positivi commenti critici di Alemanno. Un incoraggiamento a gettare un ponte verso una nuova arte, quella della’apertura della coscienza, privandola da una certa eccessiva nevrosi di atteggiamenti che la rende incomprensibile ed inavvicinabile. Vedi, l’arte di oggi, anche quella proposta dai modelli riflessivi di Duchamp, comincia a compiere uno sforzo per liberarsi da quei condizionamenti che vorrei definire “dissociati”.
P.C. – qualche critico ha scritto che sei uno degli interpreti più felici in Italia della metafisica surrealista. Come si accosta tale giudizio con le tue simpatie neofuturiste, che sai ben confondere nel disegno metafisico? Mi pare di capire e, correggimi se sbaglio, che sai intrecciare la lezione del dinamismo “boccioniano”, con le semantiche “volumetriche” della tua pittura. Altri critici sono convinti che il segreto della tua descrizione stia nel voler dar vita a forme inedite, anzi a “frammenti di forme”. Al riguardo ti attribuiscono quelle che essi chiamano “contorsioni e tensioni di forze”, nell’oceano dei simboli cosmici. La tua sarebbe una sorta di pittura didattico-inventiva, dunque?
R.N. – non direi, almeno se per didattica si intende qualcosa di cattedratico: atteggiamento dal quale per istinto rifuggo. Sono più propenso a suggerire a chi osserva le mie opere un esame consapevole del senso delle “nostre” interpretazioni del mondo. Desidero proporre allo spettatore una riflessione sulla rappresentazione di noi nell’universo, per capire il nostro “dare anima” al mondo che ci circonda attraverso la pittura. Chi raccoglie il mio invito ad approfondire le ragioni dei miei dipinti conferisce un valore aggiunto alla mia esperienza: sapere di essere oggetto di critica da parte del pubblico, e non soltanto dagli addetti ai lavori, mi arricchisce e mi stimola a offrire ciò che ho dentro. E’importante percepire che chi si avvicina ai miei quadri venga toccato sia dalla trama dei colori, che dalla suggestione evocativa che cerco di trasmettere e di corrispondere. C’è una frase di Roland Barthes che mi piace prendere in prestito, per spiegare il ruolo di questi miei maestri nel segnare le tappe del mio percorso. Su quest’ultimo, in particolare tale frase ha svolto un’azione di maieutica: “Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa, ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa, e questo si chiama cercare”. In fondo la mia arte invita sempre a cercare, a cercare incessantemente. Gli intellettuali, che mi onoro di aver conosciuto, mi hanno dato, sotto quest’aspetto, la giusta misura delle cose. Una lezione, la loro, che sgorga dall’anima, ed è superiore persino alla parola. Il valore magico della parola, infatti, si fonda sulla capacità dell’anima e dell’intelletto di coniugarsi con le dimensioni del reale, rinnovando le qualità fantastiche dell’uomo. La lezione dei maestri mi insegna a non accontentarmi di capire.
P.C. – da qui prende le mosse, allora, il nuovo linguaggio dell’informale, che sembri ultimamente teorizzare nelle tue opere. Ne sei tra gli interpreti più decisi in Italia. Con i sorprendenti effetti delle tue composizioni riesci nell’intento, apparentemente difficile, di democratizzare e di polarizzare l’arte e le sue ragioni inesauribili. Si può dire, a questo punto, che ti muovi secondo la logica estrema della “contemporaneità”?
R.N. - il termine di “logica” è improprio, in quanto richiama una realtà chiusa e inanimata, tipica dell’“ideologia” e non quella aperta e viva della creatività. L’ideologia, del resto, trae origine da quei sistemi dialettici e “storicistici” che hanno finito per generare i mostri liberticidi che hanno segnato drammaticamente la storia degli ultimi duecento anni. Mi soccorre ancora Florenkij: non creo immagini circolari e appesantite su se stesse, ma privilegio sensazioni e visioni dinamiche, che si slanciano verso il cielo, nell’ansia di infinito che richiama le cupole a cipolla delle chiese ortodosse…la mia non è, dunque, una logica circolare, bensì aperta.
P.C. – l’influenza di Florenskij qui svolge un ruolo notevole, mi sembra di capire. E’ veramente centrale nella tua espressione. Ogni articolato delle tue rappresentazioni recepisce tale influenza?
R.N. - non solo: la mia pittura apre canali di coscienza che ci vengono dall’universo. Un universo senza confini, anzi indefinito, un piano in progressivo dilatarsi, senza divisioni, volto a riappropriarsi della parola e del sogno, del nostro avvenire…
P.C. – la segreta missione della tua arte, Rosario, è quella di ascoltare e fare ascoltare l’eco di un’estetica che nasce dall’intimo…E’ come ritrarre un frutteto che scivola nell’ombra della notte, scarno e senza foglie, dove le lune luccicano come in un notturno di Paolo Uccello. Un’istantanea in chiave allegorica sulla realtà dei nostri giorni, una finestra sull’Italia di oggi, un tentativo in effigie di allontanare l’inferno, la sventura, la cattiveria gratuita e, in prevalenza, senza colpe, potente e ormai inestirpabile, che ha preso ovunque il posto del male. E il male finisce per essere descritto dalla nostra banalità, dalla nostra ostinazione a non voler mettere la testolina al lavoro. Il male si nasconde dietro la stupidità, la pochezza: circostanza peggiore della cattiveria. L’ignavia viene bollata d’infamia da Dante… Milioni di persone preferiscono accendere la tivù e restare lì passivi, immobili, inespressivi, “oggettivizzati”.…
R.N. – Passivi, incapaci di cogliere il gusto del bello, oltre che della vastità semantica e metafisica dell’universo. Davanti alla tivù e a certi meccanismi del positivismo mediatico devi fare una sola cosa: ascoltare passivamente. Mentre, quando leggi un quadro, per bravo che sia l’artista nel prospettarti e restituirti scene e sensazioni, alla fine sei tu che devi immaginarti com’è il mondo, saperti fare conquistare dall’incanto che esprime l’opera d’arte, quali sensazioni e quali messaggi l’artista ti invia e su cui ti invita a riflettere…Del resto per lettura dell’arte riprendo per analogia il concetto di lettura di un libro. La lettura di ciò che accade, del libro del mondo, di un mondo, cioè, che si apre davanti a noi. Solo questa lettura ci consente di comprendere dove vada il mondo. La forma delle cose, infatti, non è riconducibile solo al loro mero aspetto esteriore….LA MIA PITTURAE’ UN PROVOCARE I SENSI SPIRITUALI DELLA NOSTRA ANIMA, E’ SOLO UN PROVOCARE SIMBOLICO, POI OGNUNO E’ LIBERO DI SCEGLIERSI LA PROPRIA VIA E LE PROPRIE SPERANZE.
P.C. – il tuo ultimo quadro?
R.N. – quello che non ho ancora dipinto…
Casalino Pierluigi, 4 novembre, 2011.