All’apice degli Anni Sessanta, Sanremo e il suo Festival ebbero l’occasione di esprimere qualcosa di nuovo, interpretando la propria vocazione artistica e creativa. Sensibile al “fascino futurista” di quell’epoca irripetibile, Sanremo cercò di esaltare estetica e giovinezza nella sua inconfondibile cornice di fiori, di colori e di suoni. Un’esperienza di livello assoluto, nazionale ed internazionale. Voluttà scandalistiche e anticonformiste, ma anche fantasie e ansie romantiche, che rivisitarono le vie tradizionali della moda, dell’espressione e del costume sociale, sotto la pioggia di polvere di stelle della fine degli Anni Cinquanta.
Si celebrava l’avventura dell’italiano nel mondo, di cui si torna solo oggi a gustarne la memoria, con la riscoperta del motivo di “Meraviglioso”. Una sfida provocatoria, audace, troppo presto venuta meno, a causa dell’appesantirsi su se stessa. Tutto sembrò scivolare in un calderone di fanatismi ideologici e canori di cartapesta e grotteschi. Le ragioni del messaggio inventivo di quei giorni si smarrirono. Lo slancio della proposta “futurista” della città dei fiori perse smalto, arretrando in un mix di innovazione conservatrice e di caricatura estetica. La fosca querelle intorno al caso Tenco sancì l’inizio di una lunga e argentea parabola discendente di Sanremo, nonostante i ripetuti tentativi di farne risorgere fasti. Non per questo il mito tramontò, se pur tra ripetute e stanche recite bizantine di attori e di scenografi improvvisati, non sempre all’altezza del compito. Riappropriarsi dell’antico sogno, della sua portata universale, rilanciandone lo spirito un po’ provato, riassaporandone l’atmosfera.
Una difficile sfida? Forse no. Una scommessa per Sanremo e per l’Italia. Bisogna crederci. Già da questo 2009, che ripropone, dopo un secolo, l’eredità del Movimento di Marinetti. Grazie al contributo della moderna civiltà delle immagini.
Casalino Pierluigi, 11.03.2009.
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