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LA PARTITA NORDCOREANA

La partita nordcoreana si gioca sul filo del rasoio, aldilà delle schermaglie diplomatiche che fanno di Cina e Russia comprimari interessati a dosare nella zona la tensione ai loro fini e a danno degli americani. Certo Trump non JF Kennedy che nella crisi cubana ebbe la prontezza dello statista di alto profilo e anzi dimostra incertezze sicuramente preoccupanti, essendo d'altro lato impelagato, a sua volta, in un crescendo di polemiche interne legate al famoso Russiagate, oltre a quelle sull'immigrazione. Che cosa ci sia dietro l'angolo della questione missilistica ce lo dicono non solo gli esperti, ma anche la ragionevole intuizione di chi, attento osservatore di cose estremo-orientali, da tempo mette in guardia sul probabile errore di calcolo del dittatore di Pyongyang, nonostante che la sua strategia sia ispirata alla filosofia politica e bellica della Cina antica e quindi lontana dagli standard occidentali. Tuttavia la crisi nordcoreana presenta aspetti assai complessi e senza dubbio meno chiari di quanto non si immagini, ma una cosa è certa: la marionetta Kim non è poi così marionetta e ancora il disegno folle del suo programma militare è supportato da contributi di provenienze diverse, russe, iraniane, pakistane e altre anche private non esattamente individuabili. Gli scenari che ci si presentano davanti non sono tutti misurabili con la diplomazia e con la pratica internazionale consueta, ma vanno letti nel profondo della storia della penisola e delle sue eredità geopolitiche. Il frutto della seconda guerra mondiale è sempre maturo e non accenna a marcire dopo meno di un secolo. L'ordine di Yalta è caduto nelle forme della guerra fredda, ma resta nelle sue forme tradizionali di scontro est-ovest. La crisi nordcoreana, dunque, ci riporta con i piedi per terra dopo la drammatica stagione del terrorismo islamico, che a questo punto non si  sa più come definirlo se lo si pone a confronto con i punti di crisi maggiori.
Casalino Pierluigi

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