A quarant'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini la biblioteca Gramsciana invita a leggere o ascoltare le Ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini. Un rappresentante della Biblioteca Gramsciana il 2 di Novembre lo farà portando il libro e anche leggendo sottovoce (sperando non piova) alle 17,00 in Piazza Gramsci ad Ales, chi vorrà potrà fargli compagnia. Chi vuole può aderire e recitare anche in altri luoghi alla stessa ora Le Ceneri di Gramsci. Per informazioni 3493946245. Comunque chi vorrà lo potrà fare anche a casa oppure ascoltando questo video in cui Pasolini stesso recita.https://www.youtube.com/watch?v=mESo13hfgMI
LE CENERI DI GRAMSCI
Le ceneri di Gramsci è una raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini pubblicata da Garzanti nel 1957. Il volume, che riporta il sottotitolo "Poemetti", raccoglie undici poesie già pubblicate su riviste o in plaquette tra il 1951 e il 1956. Il titolo è preso da una poesia immaginato davanti alla tomba di Gramsci nel Cimitero acattolico di Roma. Le ceneri di Gramsci, datato 1954 e pubblicato sul n. 17-18 di "Nuovi Argomenti" del novembre- febbraio ''55-'56. L'incipit, "Non è di maggio questa impura aria" apre il poema sopra una primavera romana oscura e sporca. Il poeta, che è a colloquio con la tomba di Antonio Gramsci, dice che è lontano il "maggio italiano" nel quale il giovane Gramsci delineava "l'ideale che illumina" e che oggi tutto è tedio e silenzio. In questi versi di memoria foscoliana, Pasolini dichiara la propria posizione di intellettuale irregolare "attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza" e, pur cosciente di desiderare l'identificazione con il proletariato che è l'oggetto d'amore, sa di essere diverso.
Le Ceneri proseguono con un excursus sul poeta inglese Shelley. Viene poi ripreso il dialogo con Gramsci dove il poeta confessa di essere anch'egli sedotto dal "sesso", dalla "luce" e dalla "lietezza" italiane e gli domanda: "Mi chiederai tu, morto disadorno, / d'abbandonare questa disperata / passione di essere al mondo?". Nell'ultima parte della sezione viene descritta la sera romana nel rione Testaccio, dove i ragazzi giocano, felici, fuori dalla storia e il poeta, contrapponendosi a essi dice desolato: "Ma io.../ potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?".