Niccolò Machiavelli e la nuova scienza della politica

La tendenza dell'umanesimo a concentrarsi non più nei valori astratti ed etici della vita, ma nella concreta realtà terrena, si accentua ed è portata alle estreme conseguenze dal pensiero politico di Niccolò Machiavelli. Nato a Firenze il 3 maggio 1469, l'autore de Il Principe, ha una prima educazione umanistica. Spiccata capacità a leggere nella profondità dell'umana psicologia e a cogliere il mondo dei fatti e degli eventi reali, Machiavelli stabilisce il primato del realismo politico. La sua prima giovinezza è vivace e notevolmente libera; a 29 anni entra nella vita politica fiorentina e fra il 1492 e il 1512 serve la Repubblica come segretario della Cancelleria. Vive anni drammatici e tumultuosi (cacciata dei Medici da Firenze, parentesi Savonaroliana, guerra di Pisa, Lega Santa ed altri avvenimenti successivi), che gli offrono preziosissimi elementi di esperienza e di studio. Nel 1500 è commissario nel campo di Pisa, dove può constatare l'indisciplina delle milizie mercenarie. Tra il 1500 e il 1511 si reca quattro volte in Francia. Nel 1502 è ad Urbino e Senigallia presso la corte del Valentino; nel 1503 è a Roma e nel 1507 va alla corte dell'Imperatore Massimiliano. Raccoglie informazioni, studia uomini e tendenze, scrive i suoi primi opuscoli, che sono il risultato diretto delle sue personali impressioni. Nel 1512 vede cadere a Ravenna la sua "Ordinanza", ingenuo tentativo di creare un nucleo di milizie cittadine che fallirono la prova. Tornati i Medici a Firenze viene rimosso dal suo ufficio per un anno; quindi sospettato di complicità antimedicea, si ritira all'Albergaccio, presso San Casciano. Trascorre qui le giornate in forma vaga e geniale, tra gli studi profondi ed appassionati e le allegre e libere manifestazioni di vita, conversando, giocando e scendendo in mezzo al popolo. Nel 1519, dopo aver invano sperato in una riabilitazione da parte dei Medici, inizia a scrivere le Istorie Fiorentine. Nel 1521 tenterà senza successo di costituire un esercito per la difesa italiana contro Carlo V. Nel 1527, cacciati nuovamente i Medici da Firenze, Machiavelli spera di riavere il suo ufficio, ma il nuovo governo repubblicano non gli restituisce alcun incarico e lo lascia in disparte. Machiavelli si spegne il 20 giugno di quello stesso anno. Niccolò Machiavelli è il creatore della scienza politica come attività autonoma con un suo mondo e un suo compito specifico ed indipendente dalle speculazioni etico-morali e dalle dottrine tradizionali. Egli dunque dichiara di voler seguire la "Verità" effettuale delle cose e non già la sua immaginazione; di voler discorrere dell' "arte di governare, badando a come si vive e non già come si dovrebbe vivere". Il Machiavelli non è quindi un teorico astratto. Le sue idee nascono dalla sua diretta esperienza di politico, di cittadino, di italiano, di fiorentino, di appassionato studioso della romanità. E' un logico freddo, lucido, serrato e vigorosissimo che non perde mai di vista il punto centrale delle sue trattazioni. Non sogna, ma constata. Il suo unico grandioso sogno è l'Italia di domani. Non di rado tuttavia l passione ardente del cittadino ha il sopravvento sulla fredda logica dello studioso e del politico. Tutta la sua concezione, in ultima analisi, non è altro che una logica conseguenza di quell'intuizione rinascimentale che, respingendo ogni idealità trascendente, si affissa esclusivamente sull'uomo, immaginato arbitro di se stesso, del suo destino, della vita dell'universo, il quale con l'ingegno e con le sue individuali virtù lotta contro il cieco potere della sfortuna, per affermare il suo predominio e il su prevalere contro la sorte. Sennonché nello stesso Machiavelli questo concetto dell'uomo, alla luce della realtà, viene amaramente modificato e giunge ad un giudizio pressoché sprezzante:" Nel mondo non c'è vulgo; gli uomini sono tutti rei -bisogna tener conto della malignità dell'animo loro; gli uomini, presi così così in massa, sono tristi, ignavi, deboli, corrotti, indegni di infamia come di lode". Solo il singolo, l'eletto della natura e della fortuna può assurgere all'eroismo e alla grandezza. Quest'uomo dovrà operare, in sostanza, con rapidità e decisione, con volontà ferma e coerente, senza scrupoli religiosi o morali, con audacia e, se occorre, con crudeltà e ferocia, mirando essenzialmente alla meta del suo desiderio e della sua mente. La sua forza deve poggiare su motivi esclusivamente terreni e deve trovare il suo movente nell'utilità. Così umana virtù e cieca fortuna diventano i protagonisti di una lotta implacabile, fatta di violenza e di scaltrezza, di menzogne e di accorgimenti astuti, di freddo calcolo e di ributtante egotismo. Machiavelli chiude pertanto gli orecchi alle esigenze del problema morale: qui la sua novità, ma qui anche la grande ombra che attenua molto la luce del suo ideale politico. La religione è abbassata a strumento di governo. Lo Stato cosa dovrà essere dunque? Il capolavoro delle sovrane e vittoriose virtù del singolo, l'opera d'arte meravigliosa nata dal suo cervello e dalla sua spada. Soltanto il grande amore di patria può in particolare giustificare questa temeraria concezione, che vede solo i diritti del conquistatore e del principe, gettando il disprezzo sul popolo che "dev'essere o accarezzato o spento!". Tale è la posizione del Machiavelli, peraltro comprensibile, se si tiene conto della tristezza del suo tempo e della passione cittadina dell'autore de Il Principe.
Casalino Pierluigi, 8.09.2014