La morte di Mozart. Un imbroglio malriuscito - di Paolo Melandri


La morte di Mozart. Un imbroglio malriuscito

di Paolo Melandri

Mi sembra superfluo tornare a raccontare la favola dell’omicidio, cui un maestro italiano è istigato da un’invidia d’artista. Meglio precisare che la commediola in versi di Puskin venne a coronare il paio di decenni in cui s’era operata, nell’opinione viennese e tedesca, la intronizzazione di Salieri quale avvelenatore immaginario al posto di una figura reale, nel frattempo cancellata. La realtà e gradualità della sostituzione è una delle verità realmente inattese che ho scoperto rovistando storie e leggende intorno a quello che poi è divenuto il saggio che qui propongo.
C’è, nell’Epistolario di Goethe, una frase che i biografi hanno sempre fatto finta di non conoscere: «Mozart è nato due anni prima di me (1756), e noi ricordiamo fin troppo bene le circostanze del suo decesso. Mozart, dico, grazie alla sua buona scuola, aveva nel comporre una tal sicurezza di mano, che gli restava un sacco di tempo, e lui lo consumava tra donne e similii e così arrivò a sciupare il suo buon carattere».
Se il 19 Agosto 1827 un musicista dell’autorità di Carl Friedrich Zelter poteva scrivere questo passo all’amico Goethe, con la naturalezza di chi rammemora enormità risapute, vuol dire che il morboso e lo scandalo dominavano la scena di quella morte, così ricordata non solo in Germania, ma perfino in una cultura periferica come quella di Puskin. Il suo Salieri si giustifica col dire che Mozart era un dissoluto. Non serve ritorcere che Salieri lo era molto di più, il dissoluto punito era ormai Mozart. Prova evidente della restaurazione poi avvenuta nella sua immagine è che la lettera di un autorevole testimone della trasgressione ad altro testimone, consenziente e ancor più autorevole, è ancora omessa dalle raccolte di documenti cui si affida l’immagine mozartianaii.
L’immagine del Mozart dissoluto non era nata dal nulla, ma da un vero boato, la risonanza del suicidio che un certo signor Franz Hofdemel commise, convinto di avere ucciso la moglie, appena si seppe che Mozart era morto. L’impressione fu immensa a Vienna e di riflesso in Germania, il governo, la polizia, la Zensur, funzionari e poi biografi e scrittori docili all’autorità impiegarono tutt’i mezzi, leciti e illeciti, per farla dimenticare.
Il «caso Hofdemel» è una delle innumerevoli prove di come la biografia di Mozart fosse passata al bucato, a più bucati, e ridotta a cencio incolore, poi lasciato bianco e qua e là ricolorato in fretta con altre tinte. Rimettere al loro posto gli sventurati coniugi nella drammaturgia di quella morte multipla e della successiva leggenda significa ricercare una dinamica stravolta e tuttavia, sotto lacune alterazioni e falsificazioni, ancora qua e là leggibile.
Figlia di un maestro di scuola e Kapellmeister a Brünn, Moravia, Maria Magdalena Pokorny aveva sposato un cancelliere di tribunale, Franz Hofdemel, cui Mozart, profittando d’una raccomandazione che gli aveva promesso per farlo entrare nella sua loggia di massoni, chiese in prestito (era ormai la sua regola) prima del viaggio a Berlino col principe Lichnowsky, nel 1789, cento fiorini. Il 2ten Aprill gli firmò una cambiale a quattro mesi, che Hofdemel girò a un merciaio che la mise all’incasso, costringendo il maestro, appena tornato, a una disperata supplica, che pure ci resta, all’amico Puchberg. Nonostante il brutto scherzo, i rapporti erano rimasti cordiali, non ne era seguita alcuna rottura, Mozart non voleva perdere Magdalena, venticinquenne e, si disse, assai graziosa.....

CONTINUA  Lab Paolo Melandri   (E)