Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla, Bietti, Milano, 2014, pp. 415.
Il destino della filosofia contemporanea – di quella italiana in particolare – è di essere vittima di un pregiudizio radicato: venire ritenuta poco più che un esercizio ermeneutico, un processo che, per quanto vivace e produttivo, difficilmente è in grado di determinare novità speculative. Il complesso dei nani sulle spalle dei giganti è difficile da superare, in determinati ambiti in maniera molto marcata: come parlare di ontologia contemporaneamente a Heidegger? Quali margini di riflessione originale possono esserci riguardo all'estetica dopo la critica francofortese? E chi potrebbe tentare un accostamento tra Cristo e Dioniso avendo letto Nietzsche?
Nel suo dettagliato e splendidamente esaustivo testo, Giovanni Sessa offre il giusto riconoscimento ad Andrea Emo, il pensatore italiano che con più rigore etico e intellettuale, non in contraddizione con un'esposizione per nulla sistematica, ha cercato non solo di interpretare il problema del rapporto tra l'essere e il nulla, ma ha provato prometeicamente ad andare oltre il nichilismo stesso, superando e sintetizzando, in un mirabile e vertiginoso Aufhebung, Parmenide, Eraclito, Nietzsche e Heidegger.
Sessa adotta la linea storiografica e tematica per cercare di ordinare contenutisticamente e cronologicamente gli scritti del filosofo veneto, arricchendo il suo lavoro con interessanti precisazioni biografiche e un ricco contributo epistolare pubblicando il carteggio con la scrittrice e poetessa Cristina Campo. Ne esce un ritratto poliedrico e sfaccettato, di un pensatore marcatamente antimoderno che pure ha intuizioni capaci di anticipare – a partire dalla riflessione heideggeriana sull'Ereignis e la sua manifestazione nelle “scarpe del contadino” - addirittura l'esito della Body Art e delle manifestazioni più concettuali e corporee dell'arte contemporanea.
Allo stesso modo, dal suo “corpo a corpo con la vita” (come viene definita l'origine della speculazione di Emo da Cacciari, il primo a rivalutarne il pensiero) scaturisce l'abissale (per usare un termine nietzscheano) riflessione sull'identità di essere e nulla, la visione ontologica che riesce a superare il nichilismo identificandovi persino la religione, poiché credere in Dio equivale a credere nel nulla. Non perché Dio non esista, ma perché quello cristiano è “un Dio che muore e, attraverso l'autonegazione, può risorgere” (p. 93).
Il saggio di Sessa divide i capitoli raggruppando i principali nuclei tematici di un pensiero rapsodico e disordinato, per quanto sempre lucido e coerente.
La prime parti sono dedicate al rapporto di Emo con il Transattualismo, il suo andare oltre la dialettica Nulla-Essere per approdare alla loro identificazione. Argomento che verrà ripreso, dopo una significativa sezione dedicata al confronto con Evola, nella splendida sezione sull'estetica e sul linguaggio, nella quale lo stile pulito e la capacità esplicativa di Sessa offrono squarci di consapevolezza di notevolissimo valore. In particolare, la dimensione del rapporto tra opera d'arte e artista – slegata dalla necessità cronologica del qui e ora – apre la strada alla riflessione sul “tempo sferico”, in cui, “in ogni istante, si è aperti alle tre “estasi” della storia: presente, passato e futuro” (p. 208).
La meraviglia del nulla è un libro importante. Giovanni Sessa si addentra in un territorio ostico e pericoloso, la sistematizzazione di un pensiero dichiaratamente antimoderno e non metodico per scelta, per restituire la dignità che spetta a un grande filosofo contemporaneo. Se veramente i licei italiani decideranno di dedicare l'ultimo anno di studi esclusivamente al Novecento, Andrea Emo non potrà non trovare la collocazione che gli spetta. E quando questo accadrà, Giovanni Sessa potrà ascriversene buona parte del merito.
Antonio Ferrero