Benjamin: L'Angelo della Storia by PL. Casalino


Ai tempi del Sessantotto, il più ermetico e brillante dei saggisti e dei critici letterari, Walter Bnjamin conobbe una grande fortuna tra i fautori del freudmarxismo e della leva antiautoritaria. Il ritorno di interesse per Benjamin si fece strada all'ombra di Th. Adorno e Max Horkheimer, ma anche di H. Marcuse e di Fromm, i filosofi della Scuola di Francoforte, che già negli anni Trenta ne avevano pubblicato le opere. quando a Berlino dominava Adolf Hitler e la filosofia tedesca era in esilio a New York e lo stesso Benjamin viveva da profugo il suo esilio a Parigi, dopo la parentesi incantata di Sanremo, che rimase sempre nel suo cuore. Nella capitale francese, Benjamin, tra ristrettezze e tristezze, scriveva lettere disperate ai suoi amici, consumando le sue giornate nelle ricerche in biblioteca. All'orizzonte culturale apparve come un fenomeno stagionale, pur manifestando intuizioni di straordinaria modernità di analisi e di lettura critica della realtà: la stella di Walter Benjamin infatti non tramonta e resiste e sopravvive al severo giudizio dei suoi contemporanei, ripresentandosi con ricorrente puntualità sugli scaffali delle librerie e tra le rivisitazioni storico-filosofiche. Non è un caso che qualche anno fa sia stato pubblicato un romanzo che lo vede protagonista, L'ANGELO DELLA STORIA. Benjamin era uno scrittore oscuro, introspettivo, misterioso, esoterico e visionario: tentò (ma non vi riuscì) di coniugare la teologia ebraica con il marxismo, la Cabbala con lo Stalinismo, secondo una concezione eccentrica ed inquietante della Storia, che non convinse nè i suoi amici marxisti, né il suo grande amico di gioventù, Gershom Scholem, studioso di mistica giudaica. Ai primi non piacquero l'improvvisa irruzione teologica nel marxismo, né la sua visione un pò dilettantesca del marxismo storico; al secondo apparve azzardata la sua deriva marxista nell'affrontare i grandi temi della spiritualità ebraica. Respinto dagli stalinisti e dai rabbini, Benjamin pose fine volontariamente, nel settembre del 1940,  alla sua tribolata esistenza a Port-Bou, al confine franco-spagnolo, convinto ormai, e forse a torto, di non poter sfuggire al suo amaro destino e di essere consegnato dalle autorità franchiste ai fascisti francesi e quindi ai nazisti. Avrebbe potuto, infatti, imbarcarsi ancora sul piroscafo che lo avrebbe condotto in America, ma stanco e deluso, si avvelenò, ingerendo 32 pillole di morfina. Ci resta la sua vasta opera incompiuta e imperfetta, ma di straordinaria potenza intellettiva e piena di meraviglia. Non si può dimenticare di lui lo sguardo di un bimbo, che a bocca aperta, contempla gli eventi che incalzano con tutto il loro orrore. 
Casalino Pierluigi