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Ritratto di Mozart *by Paolo Melandri

Dell’aspetto e del carattere di Mozart in età virile abbiamo numerose e soddisfacenti testimonianze, tra cui spiccano quelle dei coniugi Novello, desunte da conversazioni con Konstanze Nissen ved. Mozart, e le ultime lettere della sorella Nannerl, scritte per soddisfare le curiosità di un musicologo quale il Burney, che se ne sarebbe servito per l’ultima parte della sua “History of Music”. Le testimonianze, per quanto diversamente polarizzate, concordano nel fornirci il seguente ritratto.
Mozart appariva innanzitutto come una persona di bassa statura, un metro e sessanta centimetri circa. Aveva piedi molto lunghi su gambette agilissime e striminzite. Le mani erano paffutelle e spiccavano al Cembalo per un incomparabile “jeu perlé”: erano insomma molto agili e addestrate nel “rubato”. A questo proposito lo stesso Compositore cita in una lettera il detto evangelico: «non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra». Il “rubato” consiste nell’anticipare o nel ritardare impercettibilmente l’ingresso di alcune voci durante l’esecuzione. A un primo colpo d’occhio non poteva sfuggire la straordinaria eleganza e la fattura ineccepibile dei suoi vestiti. Mozart spendeva molto nel proprio vestiario, ed era abbonato alla Rivista di lusso «Il Manuale del Vero Elegantone Viennese», sulla quale nel Carnevale del 1784 pubblicò gli “Enigmi Zoroastriani”, presentati ad un ballo in maschera e sùbito inviati (con le soluzioni) al padre Leopold, che ne fu molto fiero. Questi acquistò poi numerosi volumi della Rivista con gli “Enigmi” del figlio e li distribuì presso le famiglie nobili di Salisburgo. Le spese per il vestiario incisero molto sul bilancio finanziario di Mozart e furono tra le prime cause dei suoi famigerati debiti, precedute soltanto dalle fortune perdute giocando a biliardo e dal mantenimento dei sei cavallini ungheresi, alla lena dei quali affidava la sua sontuosa carrozza. Tra la fine del ’700 e i primi dell’800 la maggior parte dei beni dilapidati dagli aristocratici viennesi, lo furono al gioco del biliardo, au dernier cri, e non, come si crede, al gioco delle carte. Mozart fu dunque un forte giocatore, ma solo di biliardo: non era però attratto dal gioco delle probabilità, ma soltanto dal desiderio di circondarsi della più altolocata aristocrazia viennese, che, almeno fino al 1785, lo adulava spudoratamente. Anche mentre giocava a biliardo, comunque, componeva: secondo una testimonianza un Terzetto del “Flauto Magico” fu composto durante una partita di biliardo. A Praga, mentre attendeva alle prove della “Clemenza di Tito”, compose numerosi numeri del “Flauto Magico” nelle più disparate circostanze, tra cui mentre faceva colazione. Per lui “comporre” era fissare mentalmente tutti i dettagli della composizione, mentre il mettere “nero su bianco”, altro non era che una trascrizione dalla memoria allo spartito, durante la quale la sua mente era nuovamente impegnata a comporre altre opere che aveva in cantiere. In questo modo componeva moltissimo, ma non, come potremmo immaginare, “di gran carriera”, perché le sue partiture erano ampie ed esattamente differenziate per molti strumenti e, anche se l’ideazione non richiedeva molto più tempo del nostro ascolto, la trascrizione era lenta e meticolosa, avvalendosi di una calligrafia magnificamente chiara e pulita. L’eleganza del Compositore era tale, che quando nel 1782 Clementi si recò alla Hofburg per gareggiare con lui in improvvisazione al fortepiano, lo scambiò per un ciambellano di corte o, come si diceva allora, per un maître de chambre. Mozart cingeva sempre lo spadino e, alla prova generale delle “Nozze di Figaro” (1785), portava stivali gallonati e con speroni. Alle ovazioni dei musicisti in orchestra che battevano gli archetti sui leggii replicò con un semplice e distratto sorriso. Anche quando parlava, benché fosse estremamente cortese e cerimonioso, sembrava sempre pensare “ad altro”: ed in effetti pensava “ad altro”: alle nuove composizioni che nascevano in lui.
Aveva radi e sottili capelli biondi, che portava lunghi all’indietro, rattenuti con finta incuria da un codino portato molto lento, cosicché i capelli si potessero sviluppare considerevolmente in altezza. Non portava la parrucca, ma spruzzolava in modo studiatamente improvvisato i propri capelli, che risultavano così d’un biondo cinerino: di essi era estremamente vanitoso. I capelli servivano anche a mascherare un difetto: il suo orecchio destro aveva il padiglione superiore esageratamente sviluppato, e terminante a punta. Tale malformazione viene chiamata ancor oggi “orecchio di Mozart”. Ovviamente non esiste alcuna relazione tra tale malformazione dell’orecchio esterno e l’estrema ricettività dell’“orecchio interno” del Nostro, capace di cogliere anche i più lievi sussurri. Durante il secondo parto di Konstanze, quello dal quale doveva nascere Carl Thomas, futuro funzionario dell’Impero Absburgico a Milano, egli era alla scrivania e stava componendo un quartetto. La balia gli fece cenno e rispettosamente lo invitò ad appressarsi al letto della partoriente, e a stringerle le mani; cosa che Mozart prontamente fece, ma per tornarsene poi sùbito al tavolo di lavoro: aveva percepito i gemiti del travaglio della moglie come suoni e accordi distinti, così nitidi che li poté inserire nel Trio del Menuetto del Quartetto in re minore che stava giust’appunto componendo. È un raro caso di onomatopea nella musica del Salisburghese.
 Il volto di Mozart apparve sempre scialbo e lo sguardo dei suoi occhi azzurri poco accattivante: uno sguardo distratto e distante, immerso in qualcosa di imperscrutabile, che si animava solo quando suonava o, sedendo al Cembalo, dirigeva l’orchestra. Quando suonava o si concentarva nella composizione, il suo viso appariva pervaso da una malinconia soave e miracolosamente bella, e al contempo appariva singolarmente triste e benevolo, come quello di una persona che conosce a fondo tutti i dolori dell’umanità. Sublime profondità di pensiero e ineffabile espressione di una gioia spirituale che si manifestano in pressoché tutte le composizioni della maturità, persino nelle più effemeriche e “occasionali”, ma che non hanno quasi mai riscontro nelle conversazioni del Compositore, pure uomo di non poche parole e dotato di una meravigliosa capacità d’espressione anche letteraria, per esempio in non pochi brani delle “Lettere”. I tratti del volto del Compositore mentre suonava (e probabilmente improvvisava al Cembalo) sono stati mirabilmente fissati su tela nel ritratto eseguito dal cognato Alois Lange, marito della sorella di Konstanze Aloysa Weber-Lange, architetto, ambasciatore e pittore dilettante, ma di molto talento e sicura preparazione tecnica. Sicuramente Lange ha ritratto Mozart mentre siedeva al Cembalo (la cui sagoma, non colorata, si riconosce senza margine di dubbio in basso a destra) e non ha terminato il suo lavoro, limitandosi alla figura seduta del Compositore, evidentemente per mancanza di tempo.

*PAOLO MELANDRI

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