Alessandrina: Referendum acqua: vittoria inutile?


  Referendum acqua, vittoria inutile?
 
 
 
Marcello Guido - martedì, 6 dicembre 2011 - 9:00
Insomma, ce l'avevano data a bere. L'acqua, s'intende. Nel senso che un referendum che ha avuto un risultato clamoroso il 12 e il 13 giugno scorso, è ancora disatteso nella sua quasi totalità. Riepiloghiamo, dunque e vediamo qual è lo stato delle cose.
In quei due giorni di giugno, l'Italia è stata chiamata rispondere a due quesiti referendari; il primo riguardava la privatizzazione forzata delle società di gestione, che ora devono rimanere pubbliche. Col secondo quesito, invece, i cittadini, abolendo la quota dellatariffa relativa alla remunerazione del capitale investito, hanno sancito che non vi deve essere profitto sull'acqua. In soldoni: acqua per tutti e senza profitti.
 
Ma, si sa come vanno le cose in Italia: leggi, norme, regole, decisioni ufficiali, sembrano scritte… sull'acqua, appunto. Così, si scopre che a tutt'oggi, per esempio, l'unico amministratore che ha dato il via a una riforma del sistema è il sindaco di Napoli,Luigi De Magistris, che ha trasformato la società di gestione Arin da società per azioni a consorzio pubblico, ente di diritto pubblico e non privato. Lo ha chiamato Abc, "Acqua bene comune", garantendo la partecipazione dei cittadini e dei suoi dipendenti alle varie scelte che di volta in volta si dovranno compiere. Unico caso in tutt'Italia. Perché, per il resto della nazione, il referendum è come se non fosse stato mai fatto, come se i 27 milioni circa di votanti non contassero. Ma in che modo si riesce — o si tenta, perlomeno- di dimenticare una fetta di italiani così vasta?
Nel Paese dell'immobilismo e dei bizantinismi, è semplice come bere un bicchiere d'acqua (pardon): ci si rivolge a un giurista che scava, scava, scava e alfin trova il cavillo. I primi gestori privati che si sono fatti avanti sono stati quelli romani dell'Acea, Azienda comunale energia e ambiente, primo operatore nazionale nel settore idrico, con 8 milioni e mezzo di cittadini serviti, società quotata in Borsa e a maggioranza pubblica: il Comune di Roma, infatti, ne detiene il 51%. L'Acea, in sostanza, chiede come fare per contrastare la volontà dei cittadini, con due domande: nella prima si vuole "conoscere il nuovo assetto normativo dei servizi pubblici locali, verificando la legittimità delle convenzioni"; nell'altra si chiede "un parere in merito alla nuova disciplina delle tariffe" e la "legittimità e validità degli atti stipulati". Vulgo: possiamo continuare come se nulla fosse o giù di lì? Il giurista risponde che sì, i margini per contestare, frenare, sopire, allungare i tempi ci sono. Sulla scia di Acea, non è difficile immaginare che tutti i gestori si mettano in fila davanti agli uffici dei loro avvocati. Il resto va da sé: ricorsi e rinvii, burocrazia e giustizia, purché lenta, molto lenta, aule di tribunale pronte a riempirsi ancor di più.
Così, i comitati per il referendum sono scesi nuovamente sul piede di guerra: il referendum è stato fatto. Il risultato c'è stato, ora applicate la norma referendaria. Ma va là, direbbe qualcuno. E allora, manifestazioni pubbliche eminacce di autoriduzione della bolletta dell'acqua e diffide ai gestori, perché da giugno nessuno di loro ha abbassato le tariffe del 7% come prevedeva l'esito referendario. I promotori parlano di"obbedienza civile", anziché disobbedienza, ed è facile capirlo. Se c'è stato un verdetto popolare, questo deve essere rispettato e messo in pratica. E dunque siamo a questo: cittadini che chiedono l'obbedienza civile a chi sembra nicchiare, o far passare molta acqua sotto i ponti per ritardare il più possibile la messa in pratica del referendum. E De Magistris, intanto, da buon esempio diventa mosca bianca.
Visto il "nuovo corso civico" della nostra politica, la domanda è: a chi giova tutto questo? Sul breve periodo ai gestori, d'accordo, ma se si guarda oltre il proprio naso, quanti soldi stiamo buttando? E, domanda ancora più terribile, quanti ne abbiamo buttati per i referendum se poi non se ne tiene conto? E, infine, i cittadini contano ancora? Può, almeno quest'ultima domanda, apparire retorica, ma non lo è, perché la risposta è certa: sì, i cittadini contano. Ma solo quando devono pagare. Le bollette dell'acqua, infatti, sono aumentate dal 2002 al 2010 del 65% e ben 21 dei 25 Ato (Ambiti territoriali ottimali), cioè i gestori, sono in mano a privati o a gestioni miste. Visto che i cittadini contano, quando serve?