FUTURISMO E RUSSIA SOVIETICA:IL TRAMONTO DI UN’ILLUSIONE
Il partito bolscevico non aveva mai enunciato le proprie idee sulla letteratura e sull’arte in genere, prima della Rivoluzione. Nel pieno della Rivoluzione del 1905, l’allentamento della censura zarista spinse Lenin a scrivere un articolo intitolato“Organizzazione di partito e letteratura di partito”(già di per sé una contraddizione in termini per un artista, per un poeta o uno scrittore), che più tardi suscitò contrastanti interpretazioni anche in seno ai rivoluzionari. Lenin, infatti, insisteva sul carattere di partito della letteratura e prevedeva in anticipo l’astratta obiezione di “qualche intellettuale, di qualche fervente partigiano della libertà” che era impossibile ottenere “la subordinazione alla collettività di un fatto così delicato e individuale come la creazione letteraria”. A prescindere dalla circostanza che, secondo Lenin, la cosiddetta libertà dello scrittore borghese era un mito, il fondatore della Russia sovietica voleva parlare solo della letteratura di partito, ma dalle sue considerazioni alla limitazione più ampia della libera espressione il passo era conseguentemente breve: il pericolo, nel pensiero di Lenin, era l’emergere di incontrollate posizioni antipartito. Quando scoppiò la Rivoluzione nel 1917, al centro del mondo letterario russo vi erano numerose scuole e movimenti, le cui teorie, peraltro completamente differenti, coincidevano in un punto: tutte erano in rivolta contro le idee di quasi tutta la critica letteraria russa dell’Ottocento, che aveva considerato la letteratura come una manifestazione del pensiero sociale e la critica come uno strumento di analisi e di valutazione strettamente ideologica. Questi gruppi sostenevano di rappresentare il pensiero “avanzato”in letteratura. I formalisti esaltarono i caratteri “rivoluzionari” delle loro tecniche. Fra tutti i gruppi, i futuristi, invece, ebbero il maggior diritto di essere giudicati autenticamente “rivoluzionari”., sia perché avevano sempre colpito la borghesia e la civiltà borghese con gli strali del ridicolo e dell’indignazione, sia perché avevano in Majakovskij un poeta di notevole spessore e valore, che trovava il Bolscevismo, per lo meno nei suoi aspetti distruttivi, congeniale al suo temperamento e alle sue concezioni creative e sociali. Majakovskij non solo scrisse e recitò in pubblico un gran numero di versi alti ed eloquenti su argomenti rivoluzionari, ma attaccò tutta l’arte borghese passata e presente nei termini rudi e spietati. Negli anni tra il 1917 e il 1920, quando la normale produzione letteraria era giunta quasi a un punto morto e la poesia era diventata il principale strumento di espressione letteraria, la Rivoluzione (e la sua anima culturale) ritennero di aver individuato in Majakovskij il suo cantore. Tuttavia è difficile vedere come le idee dei futuristi o dei formalisti, per quanto a loro modo avanzate, potessero inserirsi nell’edificio dottrinale del marxismo o piegate a servire le aspirazioni del proletariato; e c’erano fin dal principio bolscevichi convinti che la dittatura del proletariato dovesse sviluppare movimenti letterari e modi di espressione letteraria e di inventiva propri. Questa era stata la tesi iniziale di Bogdanov, un bolscevico indipendente, che, nel 1909, insieme a Gorkij e a Lunachiarskij, aveva fondato una scuola di partito a Capri, e si era scontrato con Lenin in una vivace polemica filosofica. Nel 1910 lo stesso Lenin lo aveva criticato per aver sostenuto un nuova cultura proletaria, in quanto prematura. Brik, il critico futurista del tempo, definì l’arte borghese “un’esalazione di acquitrino”. Il colpo di rivoltella, con il quale Majakovskij pose fine alla sua esistenza nel 1930, spense per sempre l’illusione di un’arte libera in URSS.
Casalino Pierluigi, 27.12.2011.
LA RISCOPERTA DELLE AVANGUARDIE RUSSE
Le avanguardie russe e sovietiche del Novecento sono ormai protagoniste di un grande “revival”. Mostre e pubblicazioni, soprattutto dopo il crollo dell’URSS, sono continuamente di scena. Due manifestazioni del genere, di particolare interesse e suggestione, organizzate in quest’anno di scambi tra Italia e Russia, sono in corso nel nostro Paese. La prima è allestita nella cornice palermitana del Reale Albergo dei Poveri e riunisce una sessantina di opere della Galleria Tretjakov di Mosca e di altri se musei russi, mentre la seconda, che si tiene nelle sale del Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, propone una serie di icone di chiara ispirazione avanguardista (Kandisnsky, Rodchenko, Kljun e Gonciarova) e comunque dall’evidente matrice messianico-slava. I due eventi costituiscono un momento di straordinaria rivisitazione di un’arte che finì poi per allinearsi al realismo socialista imperante. Se fuori della Russia gli artisti del primo Novecento inseguono richiami esotici e lontani ( da “l’art nègre” dei cubisti all’arte oceanica degli espressionisti tedeschi, alla scultura di Modigliani), gli artisti russi ritrovano il senso dell’esotico entro i confini dell’immenso impero zarista e vivono lo slancio creativo nello spirito messianico e poi rivoluzionario della natura autoctona russa. L’esposizione vicentina, in particolare, si avvale di 85 opere di tale carattere, rivelando a pieno il senso dell’anima delle avanguardie russe (neoprimitivistica ed espressionistica), con un estendersi alla varietà simbolica dei colori dei tessuti della propaganda rivoluzionaria della Russia sovietica.
Casalino Pierluigi, 27.12.2011.