Musei aperti a Capodanno nella Salemi di Sgarbi

 

Il Museo del Risorgimento, è stato riaperto al pubblico l’undici maggio 2010, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. L’allestimento è stato curato da Chiara Donà Dalle Rose assieme all’ex Direttore dei Musei Salvatore Denaro.

Attraverso le fonti documentarie dell’Archivio Storico Comunale, le tele, i ritratti e le collezioni di armi dell’epoca, testimonia la partecipazione di Salemi al processo di unificazione e allo sbarco di Garibaldi e dei Mille in Sicilia.

 

Il Museo del Paesaggio, il primo in Italia, inaugurato in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità, ospita la mostra permanente del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) «Paesaggi d’Italia», con gli scatti inediti di Renato Bazzoni che mostrano l’incredibile varietà di forme con cui la natura si dispiega sull’intero territorio  nazionale.

 

 

Il Museo di Arte Sacra accoglie le opere d’arte provenienti dalle chiese distrutte o danneggiate dal terremoto del ‘68. Il nucleo principale è costituito da sculture del Quattrocento e del Cinquecento siciliano, tra cui numerose testimonianze dell’opera di Domenico Gagini e una «Madonna con Bambino» in marmo attribuita a Francesco Laurana. Inoltre, racchiude la splendida cappella della Casa Santa realizzata nel 1705, copia fedele della Casa Santa di Loreto.

 

 

 

La scheda di Chiara Frigerio sul «Ritratto di Ludovico Grazioli»

 

Il personaggio ritratto, un uomo di età avanzata e vestito elegantemente, è posto davanti a una parete di colore rosaceo, in cui è ritagliata una finestra. Attraverso l’apertura possiamo scorgere un paesaggio collinare, illuminato all’orizzonte da una luce vespertina e in parte nascosto da un roseto in fiore.

Alla sinistra dell’uomo una targa affissa alla parete reca la scritta: «Pro posteris memoria / Patris / Anno MD IXI I IXI I».

La data mostra segni di abrasione ed è stata evidentemente danneggiata, al punto da non essere più comprensibile. Berenson trascrisse l’anno 1519, tuttavia alcune considerazioni fanno pensare a un’errata lettura della data, che probabilmente risultava già manomessa.

Come osserva il Lucco, infatti, lo stile del dipinto, nell’andamento macchiato e nell’esecuzione liquida, vibrata, quasi ad acquerello, coincide con quello di opere più tarde, come il Ritratto virile n° 692 di Brera è il Ritratto di balestriere dei Musei Capitolini, datati entrambi al 1551. Tale anno risulta quindi il più probabile per l’esecuzione dell’opera, sebbene lo stesso Lucco noti che l’unica lettura possibile delle cifre della targa condurrebbe alla prima metà degli anni Quaranta. Ciò non risulterebbe però verosimile confrontando lo stile di questo dipinto con quello dei ritratti di quegli anni, come ad esempio il Febo da Brescia e la Laura Pola.

 

Assumendo dunque il 1551 come data di esecuzione e attraverso un attento studio del Libro dei Conti di Lorenzo Lotto, il Lucco è giunto ad ipotizzare con una certa sicurezza che il personaggio ritratto sia Ludovico Grazioli, nobile anconetano che aveva avuto diversi contatti con l’artista al quale aveva anche prestato del denaro.

 

Dalle annotazioni del Lotto sappiamo, infatti, che nel 1551 egli aveva eseguito il ritratto del Grazioli il quale voleva «esser ben servito per lassar ali soi heredj memoria di sé, vedendolo».

Si trattava dunque di un contesto funerario, perché il ritratto doveva fungere da perpetuo ricordo per gli eredi. Tale intento ben si accorda con la frase scritta sulla targa del nostro dipinto, la cui perfetta corrispondenza con le parole del Grazioli non fa che rafforzare l’ipotesi identificativa.

 

Ed è suggestivo leggere, nello sguardo fermo e severo dell’uomo, il monito di un padre verso i propri figli, a cui lascia di sé un’immagine composta e rispettabile, adombrata tuttavia da un velo di tristezza.

L’umore malinconico del personaggio si riflette nel paesaggio che si scorge dalla finestra, illuminato dalla tenue luce della sera e sovrastato da un cielo denso di nubi.

Nasconde parte della vista un roseto, che ricorda la spalliera vegetale della Madonna del rosario di Cingoli, del 1539, e spunta dal davanzale come quello che sporge oltre la balaustra nella pala dell’Elemosina di Sant’Antonino di Venezia, data 1542.

 

La rigorosa indagine psicologica e l’indiscutibile qualità esecutiva fanno di questo dipinto un altro splendido esempio della ritrattistica lottesca, riscoperto dopo anni di oblio e oggetto di una nuova e meritata attenzione»

 

 

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